La cattiveria: una questione di DNA, di educazione o una caratteristica del genere umano?

ll protagonista di questo brano è un classico "cattivo".
In ogni romanzo o film c'è sempre un personaggio negativo che si fa odiare e interviene nella trama per far soffrire e gettare scompiglio, movimentando il racconto e creando un diversivo.

Franti appartiene decisamente a questa categoria.
Si tratta di un bambino di undici anni: come si concilia il suo essere fanciullo, l'innocenza di cui dovrebbe essere portatore con la cattiveria descritta da De Amicis?

  Gennaio 21, sabato Franti cacciato dalla scuola. da Cuore di De Amicis

Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male.

Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse.

Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di non vedere le sue birbonate, ed egli fa peggio. Provò a pigliarlo con le buone, ed egli se ne fece beffa.

Gli disse delle parole terribili, ed egli si coprì il viso con le mani, come se piangesse, e rideva. Fu sospeso dalla scuola per tre giorni, e tornò più tristo e più insolente di prima. Derossi gli disse un giorno: - Ma finiscila, vedi che il maestro ci soffre troppo, - ed egli lo minacciò di piantargli un chiodo nel ventre. Ma questa mattina, finalmente, si fece scacciare come un cane. Mentre il maestro dava a Garrone la brutta copia del Tamburino sardo, il racconto mensile di gennaio, da trascrivere, egli gittò sul pavimento un petardo che scoppiò facendo rintronar la scuola come una fucilata.

Tutta la classe ebbe un riscossone. Il maestro balzò in piedi e gridò: - Franti! fuori di scuola! - Egli rispose: - Non son io! - Ma rideva. Il maestro ripeté: - Va’ fuori! - Non mi muovo, - rispose. Allora il maestro perdette i lumi, gli si lanciò addosso, lo afferrò per le braccia, lo strappò dal banco. Egli si dibatteva, digrignava i denti: si fece trascinar fuori di viva forza. Il maestro lo portò quasi di peso dal Direttore, e poi tornò in classe solo e sedette al tavolino, pigliandosi il capo fra le mani, affannato, con un’espressione così stanca e afflitta, che faceva male a vederlo. - Dopo trent’anni che faccio scuola! [p. 91 modifica]- esclamò tristamente, crollando il capo. Nessuno fiatava. Le mani gli tremavano dall’ira, e la ruga diritta che ha in mezzo alla fronte, era così profonda, che pareva una ferita. Povero maestro! Tutti ne pativano.

Derossi s’alzò e disse: - Signor maestro, non si affligga. Noi le vogliamo bene. - E allora egli si rasserenò un poco e disse: - Riprendiamo la lezione, ragazzi.

Il bullismo è un fenomeno che assurge tristemente alla ribalta della cronaca odierna ma nel passato ci sono sempre stati ragazzi che si sono comportati con i coetanei in maniera crudele.
Perchè?

Lo psicologo inglese Simon Baron-Cohen sostiene che la cattiveria sia una malattia.

La mancanza di empatia deriverebbe dal non corretto funzionamento dei circuiti neurali di determinate aree cerebrali preposte alla sensibilità nei confronti del prossimo.

Altri invece sostengono che, al di là di alcune patologie specifiche, sia sbagliato dare la colpa solo ai "geni" ma che occorrerebbe considerare anche i fattori esterni educativi che possono influenzare lo sviluppo della personalità.

In questo senso l'empatia e l'interesse per gli altri dovrebbero essere insegnati ai ragazzi come materia scolastica.

Altre volte l'atteggiamento provocatore e violento potrebbe indicare una carenza affettiva e costituire un modo per attirare l'attenzione su di sé: una modalità "nevrotica" per emergere e farsi notare.

La descrizione di Franti è molto incisiva.

Viene definito malvagio: uno che gode nel provocare sofferenza, che fa la voce grossa con i deboli e si tira indietro con i più forti, che picchia con la volontà di arrecare del male. Uno che ride dell'altrui dolore, che non rispetta il maestro e i genitori, che odia la scuola e i compagni.
L'insegnante prova inutilmente a farlo ragionare con le "buone": la supponenza del ragazzo gli fa perdere le staffe, arrivando a mettergli le mani addosso per condurlo con la forza dal direttore.
Quando la provocazione è così intensa, è quasi impossibile non farsi assalire dall'ira e reagire come il maestro di Cuore.

Cosa spinge le persone a ridere degli altri come Franti?

Quando vedo i comportamenti di chi gratuitamente arreca dolore e morte a persone e animali, di chi deliberatamente inquina l'ambiente producendo disagi e malattie, mi convinco che l'animo umano abbia un substrato di cattiveria che trascenda il DNA, i fattori esterni e la mancanza di educazione.
Una malvagità insita solo nel genere umano.

Nel 1971 un team di ricercatori americani diretto dal professor Zimbardo della Stanford University volle studiare il comportamento umano sulla base del ruolo svolto.
Nei sotterranei dell'Università venne ricostruita una prigione e selezionati ventiquattro studenti maschi volontari, scelti fra i più equilibrati, maturi e meno attratti da atteggiamenti devianti.
Alcuni ebbero il ruolo di guardia ed altri di prigioniero.
Una volta indossata la divisa, ognuno si comportò secondo il ruolo assegnato.
I risultati furono del tutto inattesi e così drammatici da indurre gli autori dello studio a sospendere la sperimentazione dopo solo sei giorni a causa della condotta violenta delle guardie nei confronti dei carcerati.

Persone equilibrate e miti si trasformarono in soggetti aggressivi e sadici che infliggevano umiliazioni e sofferenze ai prigionieri, percepiti come "inferiori". Alcuni dichiararono di aver provato piacere nell'agire in quel modo.

In questo test il fatto di appartenere a un gruppo influenzava i relativi soggetti che smarrivano il senso di responsabilità e i principi morali su cui basava il loro credo, atteggiandosi in maniera asociale. Così come i prigionieri subivano i soprusi adagiandosi in uno status passivo.
Affermare di godere nell'arrecare sofferenza agli altri mi ha fatto pensare a Franti e a chi, come lui, sorride quando vede il proprio interlocutore in difficoltà e anzi si compiace nell'essere l'artefice di quei disagi.

Lo si nota anche nella quotidianità.
Nell'incapacità di molti individui a condividere l'altrui felicità, nell'invidia più o meno cosciente che porta a indagare i fatti del prossimo per concludere che il "mal comune" conforta più dell'altrui successo. Nella difficoltà a percepire la conquista del compagno come un insegnamento che arricchisce, uno stimolo o semplicemente l'occasione per sorridere assieme, condividendo uno stato d'animo positivo.

La felicità è un attimo, un respiro che svanisce velocemente: l'invidia, l'egoismo e la grettezza tentano di allontanarla e di impossessarsene, originando un assurdo ghigno che deforma il volto senza apportare nulla di piacevole.

Invece di rallegrarsi assieme, di "essere" contenti per l'altro, si preferisce trasformare l'espressione del vicino in una smorfia: solo questa reazione provoca un profondo sorriso.
«Signor maestro, non si affligga. Noi le vogliamo bene», affermano gli scolari all'insegnante, tremante d'ira dopo lo scontro con Franti. Allora egli si rasserenò un poco e disse: «Riprendiamo la lezione, ragazzi».

L'affetto sincero ha un potere enorme, ma alcune persone coprono il proprio cuore con una corazza per impedire all'amore di raggiungerlo, respingendo i sentimenti positivi e le buone intenzioni che consentirebbero di vivere meglio.

(foto da politis.com.cy)