Olimpiadi di Rio 2016: vincere con il cuore

Le Olimpiadi dovrebbero costituire una celebrazione dell'amicizia attraverso lo sport e un'occasione di unione festosa tra i popoli.

Ebbero origine nella città greca di Olimpia, nel 776 a.c., dove si svolgevano gare di corsa tra i giovani e, per tutta la durata di cinque giorni, le guerre venivano sospese.

Nella seconda metà del XIX secolo le rovine di Olimpia furono riportate alla luce dagli archeologi e i Giochi Olimpici riacquistarono fascino.

Nel 1870 la Francia subì una cocente sconfitta da parte della Prussia a Sedan e l'anno successivo firmò la resa che pose fine alla guerra franco-prussiana.

Il Barone Pierre de Coubertin si chiese le ragioni della sconfitta, imputandole a un'insufficiente educazione sportiva francese, ma allo stesso tempo pensò che fosse necessario ideare una modalità per consentire ai giovani di cimentarsi in una battaglia diversa dalla guerra.

Ecco che nel 1894 le sue idee vennero accettate in un convegno a Parigi e si decise di riportare in vita le Olimpiadi assegnandole nel 1896 ad Atene.

Purtroppo i Giochi non impedirono lo scoppio delle guerre e furono anzi sospesi durante i conflitti mondiali: l'edizione che li seguì non vide nemmeno la partecipazione delle nazioni perdenti, escluse dai vincitori.

De Coubertin è passato alla storia con il motto «l'importante non è vincere ma partecipare» e forse non è stato nemmeno lui a pronunciarlo.

La frase è però incompleta perché manca la parte finale: «fondamentale non è imporsi, ma aver ben combattuto».

Chiunque fosse l'autore, il pensiero andava più in profondità, sottolineando che nella vita non fosse essenziale il trionfo bensì partecipare alla battaglia ed eseguirla al meglio.

Un concetto non semplice da applicare, soprattutto quando si leggono notizie di atleti che ricorrono a sostanze dopanti per raggiungere una medaglia: la vittoria è senza dubbio esaltante ma non può regalare la sensazione di benessere che nasce da un'attività gratificante, con emozioni e ricordi unici. 

Un “numero” o una medaglia non offrono nulla di duraturo, soprattutto se ottenuti in maniera “sporca”.

Vorrei ricordare alcuni sportivi che, dall'espressione del volto, dimostrano l'appartenenza alla categoria di “coloro che ben combattono”.

 Atlete italiane a Rio, le storie più belle:

La prima è Tania Cagnotto, regina dei tuffi e figlia d'arte, un sorriso dolce e una grinta incredibile.

Quella di Rio sarà l'ultima gara di una luminosa e lunga carriera, iniziata nel 1999 a livello internazionale a soli quattordici anni.

Elencare le sue medaglie è impossibile: ben 34 di diverso colore in tutte le specialità, anche la piattaforma da dieci metri.

Da otto anni detiene il titolo del tuffo sincronizzato dal trampolino di tre metri assieme a Francesca Dallapé, altra fantastica atleta, con cui costituisce la coppia più longeva e vincente nella categoria.

E' andata a segno anche con Maicol Verzotto nel sincro misto, sempre dai tre metri.

L'unica medaglia che le manca è proprio quella olimpica, avendola sfiorata a Londra 2012 in coppia con la Dallapé e mancando quella individuale per soli venti centesimi: un'enorme delusione considerato che i giudici vedono il tuffo da prospettive diverse e la soggettività fa parte del punteggio.

Chissà se Rio le permetterà di completare il suo incredibile palmares.

Gli ultimi mondiali fanno ben sperare: Tania ha conquistato uno storico oro nel trampolino da un metro battendo le tuffatrici cinesi, che sembrano appartenere a un altro pianeta. 

Le “farfalle” sono invece le ragazze della squadra italiana di ginnastica ritmica. Si muovono flessuose ed eleganti accompagnate da vari attrezzi nell'esecuzione dei brani musicali: la fune, il cerchio, la palla, le clavette e il nastro.

Sono le campionesse mondiali in carica nella specialità dei cinque nastri, prepotentemente salite alla ribalta negli ultimi sei anni in una disciplina su cui dominavano incontrastate nazioni dell'est come Russia, Ucraina e Bielorussia.

Le ragazze si chiamano Marta Pagnini, Andreea Stefanescu, Sofia Lodi, Alessia Maurelli, Camilla Patriarca e Martina Centofanti:

la ginnastica ritmica è uno sport in cui serve allenamento, forza, leggiadria e grande determinazione.

Un'abile allenatrice, Emanuela Maccarani, è riuscita a creare coesione e sinergia tra loro, in modo che assieme producano un rendimento amplificato rispetto a quello singolo.

E' interessante scoprire che il soprannome “Farfalle” è stato coniato alla fine degli anni '60 dallo scrittore Giovanni Arpino, appassionato di sport, in un articolo pubblicato sul Secolo XIX e dedicato alle atlete della ginnastica. 

A Rio non sarà presente Valentina Vezzali, l'atleta italiana più medagliata e da molti considerata la più grande schermitrice di tutti i tempi.

Infiniti i suoi allori: quelli olimpici sono nove di cui sei d'oro.

E' la prima schermitrice al mondo a essersi aggiudicata nel fioretto tre ori olimpici individuali in tre edizioni consecutive.

Ha due figli, è stata eletta alla Camera e a quarantadue anni non è riuscita a qualificarsi per partecipare al fioretto individuale.

Purtroppo a Rio non ci sarà la gara di fioretto femminile a squadre, per via di una rotazione tra le discipline adottata da diversi anni dal Comitato Olimpico e quindi a giugno Valentina ha dovuto dare l'addio alle competizioni senza poter aggiungere un altro record a quelli già raggiunti.

Questa grande schermitrice mi fa parlare di un'altra atleta della scherma.

Si chiama Beatrice Vio, detta Bebe, e ha diciannove anni.

Quando ne aveva cinque stava guardando una partita di pallavolo annoiandosi: si recò nella palestra a fianco dove tiravano di scherma e si innamorò a prima vista di questo sport che praticò subito, dimostrando di esservi portata.

Ma nel 2008, a undici anni, viene colpita da una meningite fulminante che provocò una grave infezione del sangue con necrosi agli arti inferiori e superiori: per salvarle la vita i medici furono costretti ad amputare tutti e quattro gli arti.

Una situazione che avrebbe distrutto chiunque. Ma non lei.

In quel terribile frangente forza e tenacia non l'abbandonano. Lei pensa solo di voler continuare il sogno di fare scherma e il desiderio di diventare campionessa le dà la forza e la tenacia di andare avanti e affrontare tutto proprio come  Sara Morganti.

I medici erano scettici, i tecnici delle protesi si mettevano a ridere, ma lei voleva e sapeva che avrebbe ripreso la scherma. Senza alcun dubbio.

«Non mi sono mai chiesta come avrei potuto farlo a livello pratico. Pensavo solo “Io voglio fare scherma”. Nient’altro. In fin dei conti quando vuoi fare veramente una cosa, non ti poni nemmeno il dubbio su come farla, ma la fai e basta.

Credo, alla fine, che i problemi, grandi o piccoli, li abbiamo tutti. A fare la differenza è solo il tipo di reazione».

Bebe si è fatta costruire una protesi per poter impugnare il fioretto, una carrozzina speciale, una pedana, e ha ripreso l'attività sportiva.

Sostiene di essere una ragazza fortunata perché le sono rimasti gomiti e ginocchia che le hanno permesso di usare le protesi: ma anche perché si è accorta di avere tanti amici e ogni giorno realizza quanto siano belli lo sport e la vita.

Bebe è diventata campionessa europea nel 2014 e del mondo l'anno successivo:

ora andrà a Rio alle Paraolimpiadi. 

La sua famiglia, nel 2009, ha fondato l'associazione Onlus Art4sport per sostenere i bambini che hanno subìto amputazioni.

Raccoglie fondi per fornire protesi, carrozzine e tutto il necessario ai bambini amputati che desiderano integrarsi praticando uno sport.

Bebe racconta che

«è bellissimo vedere questi ragazzi che cambiano, diventano sicuri di sé, non hanno più paura di mostrarsi, di mostrare le protesi, e scoprono possibilità che prima nemmeno sapevano di avere.

Ci sono tanti ragazzi che non ci pensano, che non sanno di avere queste opportunità perché, semplicemente, non hanno mai visto nessun altro farlo. È infatti questa l’importanza dell’associazione: far vedere a qualcuno che ha passato le tue stesse cose che si può fare, che non è impossibile. Gli dai così la forza per poter dire “Bene, allora posso farlo anch’io”».

Bebe conclude che quando è sulla pedana di fronte all'avversario nutre sempre un po' di paura:

«il segreto è riuscire a trasformarla in una sensazione positiva».

Una frase che insegna l'atteggiamento giusto da tenere nella vita di tutti i giorni: non conta avere braccia o gambe, ma credere negli obiettivi e volerli col cuore.

Anche se appaiono impossibili.

(Autore foto Marie-Lan Nguyen su wikipedia. org)