Un miracolo divino… tutto femminile.

In questa Giornata speciale dell'Annunciazione la Donna più importante al mondo, colei di cui si sente parlare pochissimo nei Vangeli ma che grazie a Lei sono stati scritti, concepisce l’Uomo che tutti siamo abituati a chiamare “Figlio di Dio”.

Il 25 Marzo secondo la Chiesa Maria concepisce miracolosamente Gesù, dopo che l’Arcangelo Gabriele fa la sua apparsa con queste semplici parole “ave gratia plena Dominus tecum benedicta tu in mulieribus”, frase dalla quale nasce la preghiera dell’Ave Maria.

A quella celebre frase Lei risponde così “Ecco l’ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola”.

Spesso definita “serva del Signore”, sin da quando siamo bambine le nonne ci insegnano che le donne sono proprio questo, serve al volere degli uomini, obbedienti e caste.

Io vorrei invece proporre un’interpretazione molto più dolce e moderna di questo momento profetico.

Maria ascolta e sceglie di accogliere per generare.

Questa figura rappresenta, perciò, quello che l’uomo dovrebbe fare di fronte a Dio, cercare di concepire, comprendere e generare l’incomprensibile, ossia Dio.

Ecco quindi che il mistero dell’Annunciazione non appartiene solo a una donna, ma a tutti noi.

E così come Lei è riuscita a credere e a fidarsi dell’incomprensibile, dovremmo farlo tutti. Un messaggio molto più chiaro e meno maschilista, lo definirei io.

   La Chiesa, tuttavia, si serve di Maria per concepire, ovvio, non potevano far concepire un uomo, per cui la venerano in quanto “serva di Dio”, ripetendo questo vocabolo all’infinito, purtroppo mal o ben interpretato, dipende dai punti di vista, da donne e uomini nei secoli a venire.

Dietro bellissime perifrasi, ad ogni modo, ancora una volta sia Lei sia le donne vengono discriminate. La loro unica colpa nella mente contorta e inconscia degli uomini? La capacità di custodire all’interno del loro ventre il segreto del miracolo della vita.

Passano i millenni e persino pochi giorni fa in ogni angolo del Pianeta si festeggiava quella che in Italia viene erroneamente chiamata “Festa della donna”, mentre all’estero è già considerata come “International Women’s day”.

Ogni volta che sentiamo dire la prima denominazione da qualcuno dovremmo alzare una mano in segno di stop.

Sì, perché festa si chiama qualcosa per cui valga la pena festeggiare, non un giorno che ci serve per commemorare i milioni di donne violentate, uccise, dimenticate, che lavorano al pari degli uomini ma vengono remunerate il 25% in meno.

Alcuni direbbero che invece questa ricorrenza è legata alle conquiste delle donne, non alla memoria dei caduti, eppure, se ci si siede a riflettere, non esiste nessuna festa che commemori le conquiste maschili.

Perché, vi state domandando? Semplicemente perché per loro non è necessario.

Nessuno gli ha mai tolto il diritto di voto, nessuno gli ha mai detto che erano talmente inferiori a livello intellettivo che non potevano lavorare, nessuno gli ha mai detto che se non arrivavano illibati al matrimonio sarebbero stati ripudiati e lapidati, nessuno gli ha mai detto che se indossavano una gonna sarebbero stati sicuramente violentati.

Sia che l’evento nasca nel 1908, quando alcune operaie di uno stabilimento tessile di New York decisero di scioperare e il proprietario le chiuse all’interno, dove poco dopo scoppiò un incendio che uccise 129 di loro, sia che parta il 25 Marzo 1911, quando, sempre a New York, in un altro stabilimento morirono uccisi 149 dipendenti, per la maggior parte giovanissime donne immigrate dall’Europa, o che provenga da San Pietroburgo, Russia, dove l’8 Marzo 1917 le donne sfilarono lungo le vie per il “Pane della Pace”, chiedendo fine alla guerra, questo giorno venne indetto proprio per commemorare le vittime di ingiustizie e soprusi, per non dimenticare e continuare a battersi per diritti che qualcuno ha tolto per la semplice convinzione che fosse giusto così.

Mi verrebbe in mente un dittatore folle che decise della vita degli uomini per semplici ma sbagliate condizioni razziali, ma evito di nominarlo. Hitler. Ops, avevo detto che non l’avrei nominato, ma probabilmente rispolverare questo nome potrebbe risvegliare le coscienze assopite.

Per fortuna che alcune donne di un tempo furono davvero motivate e sveglie tanto da indire il “movimento del suffragio universale”.

   Lo scopo era quello di arrivare al diritto di voto. Un film uscito nel Regno Unito a Ottobre ci ricorda la forza i queste donne. “Suffragette” è ambientato nella Londra del 1912, e racconta la storia di un gruppo di donne, guidate da un’attivista di nome Emmeline Pankhurst, che vollero fortemente il diritto di voto e più diritti.

Una frase mi colpisce nel film “Nothing ever changes until change cannot be stopped”. In italiano si potrebbe tradurre con “Non cambierà mai nulla finché il cambiamento non potrà essere fermato”. Ecco, questo film ci insegna che se vogliamo, si può.

Sì, perché a queste madri vengono tolti figli, addirittura, per la sola colpa di voler diritti maggiori.

Nel terminarlo non si può fare a meno di non notare la similitudine con una guerra. Sì, perché queste donne che sembrano appartenere ad un’altra epoca, ma che in realtà sono più attuali di quanto sembra, paiono come militari, in difesa verso il loro mondo, in battaglia contro le ingiustizie.

Una guerra non senza vittime, infatti. E solo dopo le vittime arriva il cambiamento.

E’ passato un secolo eppure nulla è cambiato troppo. In Inghilterra il diritto al voto alle donne fu dato nel 1918, in Italia avvenne solo nel 1946. Tanti passi occorre ancora fare, però, perché se si pensa che esistono ancora paesi dove non è possibile votare, come nel Brunei, in Libano, dove esiste un diritto di voto parziale, o nella Città del Vaticano, dove ahimè, nonostante si difendano le donne a parole e Maria venga festeggiata in quanto “serva casta del Signore”, è tutto ancora un mondo prettamente maschile. In effetti, donne caste al mondo non ce ne sono, quindi non opporremo obiezione.

D’ora in poi, quindi, l’augurio che posso farvi è quello di prendere la vostra scheda elettorale e presentarvi a ogni elezione, facendo valere un diritto che avete acquisito con fatica, sudore e tanto sangue.

Fortunatamente, però, ci va meglio di altre donne abitare in Occidente. E invece no. Non indossiamo veli, eppure ci costringono velatamente a subire ogni genere di ingiustizia, conformandoci al silenzio.

In un mondo occidentale che ormai si crede superiore e avanzato, ogni giorno le donne subiscono ogni genere di sopruso e violenza e spesso i loro aguzzini vengono giustificati dagli stesso giudici o “graziati”, se non addirittura prosciolti da ogni accusa.

Insomma, se rubi una gallina per fame vieni arrestata, se subisci violenza devi mettere in piazza tutti i tuoi panni sporchi e devi essere analizzata da un team esperto che oltre a rivangare nella tua vita, ti rivolterà come un calzino alla ricerca delle “prove”. In assenza di tutte le prove necessarie, sei semplicemente stata “consenziente” o “provocativa”. Perciò ben ti sta, colpa tua.

Ecco allora che la strada da fare sembra ancora molta.

L’augurio più sincero, perciò, è che possiate ricordarvi di essere degne quanto gli uomini ogni giorno dell’anno, che possiate trasmettere questo senso di uguaglianza ai vostri figli, soprattutto maschi, poiché è da donne che nascono violentatori e assassini, e che possiate stringere la mano alla vostra vicina araba, cinese o indiana, ricordandovi che un giorno non tanto lontano anche voi eravate costrette al velo, e che oggi, se non lo indossate fisicamente, lo avete virtualmente addosso.

Dopodiché spendete una preghiera per la Madre di tutti gli uomini e siate fiere dell’essere donne. Il regalo che fate al mondo partorendo non ve lo toglierà mai nessun uomo… se non altro per il dolore che provate!