La lingua, il Bla Bla Bla e la Torre di Babele

La Bibbia racconta che, all’inizio dei tempi, tutti sulla Terra parlavano la stessa lingua “madre”, e come questa fosse essenziale ed evoluta al tempo stesso, tanto da esprimere sentimenti, emozioni e pensieri complessi.

 

Un giorno un gran numero di umani si radunò per costruire una torre che arrivasse fino a toccare il cielo, e Geova, interpretandolo come un affronto, ne sabotò il progetto mescolandogli quell’idioma.

Ciò causò un numero imprecisato di lingue diverse ed una conseguente incapacità tra gli uomini di comunicare, cosa che ben presto si tramutò in odio. Cominciarono così dispute e rivalità devastanti, che finirono per costringerli ad abbandonare la torre incompiuta disperdendoli per il mondo, dove col tempo si riunirono in gruppi distinti proprio dai differenti linguaggi.

Una leggenda suggestiva che ancora oggi trova qualche riscontro su testimonianze di antichi testi prodotti da civiltà e religioni diverse, anche se i fatti così descritti sembrano a dir poco improbabili.

Ma tralasciando la verità storica del racconto biblico, quello che più mi affascina di questa vicenda è come gli uomini possano diventare nemici e dividersi a causa dell’incomprensione (quante coppie sarebbero d’accordo) ed, al contrario, riunirsi e stringersi, uniti soprattutto da uno stesso linguaggio.

La lingua rappresenta l’unico modo evoluto che abbiamo per comunicare compiutamente, ma al tempo stesso anche una grande barriera.

Ad oggi si contano circa più di 7.000 idiomi sulla Terra, tra dialetti e lingue vere e proprie, ognuno con una sua fonetica ed un distinto patrimonio espressivo.

L’inglese è sicuramente quello più parlato e sembra che conti anche il più alto numero di parole nel suo vocabolario.

C’è chi dice addirittura che da qualche anno abbia raggiunto il milione, (una parola nuova ogni cento minuti) e che il secondo sia il cantonese con appena 500.000.

Questo perché non solo sono in tanti a parlarlo, ma soprattutto in così tante parti del mondo con climi, usanze e culture diverse. Nel tempo quindi sono nate innumerevoli interpretazioni, storpiature, invenzioni vere e proprie che ne fanno il modo di esprimersi più vivo della Terra.

È bello pensare ad una lingua come ad una materia in continua evoluzione, che produce tanto ed al tempo stesso scarta ciò che non le serve più, con una vera e propria mutazione genetica che rappresenta come esempio perfetto la sinergia del pensiero umano.

Il “ broken english” come mezzo per farci capire ovunque, un mezzo unico e grande modello di libertà.

George Orwell
Gerorge Orwell

  Gerorge Orwell in “1984” parla della neolingua, creata dal “Grande Fratello” nel tentativo di ridurre il più possibile i vocaboli dal linguaggio del popolo. (su Orwell: George Orwell Un rivoluzionario tra le righe

Il metodo era quello dell’eliminazione dei contrari, della compressione delle parole, così come della semplificazione intesa come impoverimento lessicale.

“Buono” è una parola che esprime un concetto preciso, “cattivo” è sì il suo contrario ma porta con sé anche un significato più ampio del contrario stesso di buono. Sostituendo “cattivo” con “sbuono” non soltanto si ottiene un contrario, ma lo si svuota, lo si limita nell’ampiezza del linguaggio intesa come espressione del pensiero, quindi si riduce l’attività della mente.

Comprimere due parole in una, Miniver, Miniabb. Miniamor (Ministero della verità, Ministero dell’abbondanza, Ministero dell’amore) produce un sistema che induce ad individuare per due concetti una sola parola, finendo per far dimenticare nel corso del tempo e con l’uso prolungato i significati delle parole stesse che l’hanno creata.

O il termine “mangiare” inteso come verbo che diventa però anche sostantivo, inteso come il “cibo” che viene a sua volta eliminato dal dizionario.

Si cancellano così un gran numero di parole giustificandolo come inutili, con l’unico scopo di ridurre l’espressione e quindi il pensiero ed automaticamente la libertà.

Una teoria malefica che Orwell riprese dagli studi su quella lingua che i vertici del Nazismo ai tempi del Terzo Reich stavano preparando e mettendo già parzialmente in atto.

Gestapo= Geheime Staatspolizei come piccolo esempio. 

Quindi possiamo sicuramente dire che le lingue più sono ampie ed evolute, più ci aiutano ad essere liberi ed il numero delle parole che queste usano è la misura stessa dell’evoluzione di quelle culture.

Sarebbe fin troppo semplice, come esempio, affermare che la democrazia più antica al mondo guarda caso parli inglese. Ma è vero che da tempo ormai le tendenze culturali, sociali e di costume provengono dal mondo anglosassone, che ci contamina costantemente anche nelle nostre scelte espressive.

Una volta chiesi ad una mia amica antropologa come mai un paese piccolo come l’Inghilterra, tra l’altro un’isola anche un po’ sfigata, potesse aver influenzato così profondamente il mondo intero.

Lei mi rispose che la lingua era stata il mezzo che aveva permesso a quella cultura, già di grande spessore, di espandersi così diffusamente, un po’ come fecero i Romani con il Latino.

Una lingua che, se conosciuta da tutti, permette al tuo pensiero di arrivare ovunque, perché ovunque compreso, ed alla fine quindi, volente o nolente, da tutti accettato.

Noi italiani siamo il popolo che ha ufficializzato, attraverso l’Opera, il modo di esprimere la musica con parole e voce.

Un’invenzione straordinaria che ha cambiato radicalmente il modo di concepire la seconda arte nel corso del tempo fino ad oggi.

Ma la nostra forza storica e politica non è stata sufficiente ad imporci nel mondo, così come invece è riuscito ad inglesi ed americani che, rubandoci l’idea, hanno esportato ovunque la loro lingua e la loro cultura, utilizzando una versione moderna, più concisa e semplice della nostra Opera, frutto del pragmatismo anglosassone, un mezzo di facile ed immediata comunicazione: la canzone.

I testi del pop, soul, country, jazz, rock e R&B hanno rivoluzionato il pensiero umano più di cento guerre e milioni di morti, o di Hollywood con tutta la sua produzione cinematografica. 

Il concetto di Scuola nella cultura anglosassone è estremamente importante. La qualità della didattica applicata nei College (privati ovviamente, perché parlare di Socialismo in quei paesi equivale a bestemmiare) è sicuramente tra le migliori se non addirittura la più evoluta e l‘inglese, ovviamente, è la lingua utilizzata per attingere a quel sapere.

Un dettaglio non da poco, perché equivale a dire che tutti quegli studenti che da ogni parte del mondo accorrono per studiare nei College Universitari U.K. o USA, dovranno per forza di cose conoscere quell’idioma, e che la loro crescita culturale dovrà necessariamente passare attraverso un’ottima conoscenza della lingua, contribuendo in questo modo ad una sua intensa diffusione.

Dunque tanti elementi che le permettono di diffondersi in giro per il mondo lentamente ma inesorabilmente, portando con sé i benefici di un’unificazione linguistica.

Con il pericolo però che tutto ciò faccia tornare l’uomo indietro nel tempo con un procedimento inverso a quello con cui è riuscito ad arrivare fin qui.

Ci troveremmo così di nuovo tutti sotto la Torre di Babele, parlando come allora un unico idioma ed utilizzando ancora una volta una lingua appena appena essenziale, quel “broken english “bastardo e rozzo che avrebbe avuto la forza di eliminare pian piano tutte le altre sorelle, con il loro humor, il loro potenziale espressivo, la loro fantasia, ma soprattutto uniformando il pensiero di tutti, diminuendone così la libertà.

L’italiano che si parla praticamente solo nel nostro paese, o quasi, conta nel suo vocabolario circa 300.000 parole (tutto incluso).

Un terzo della lingua più parlata, ma comunque sopra lo Spagnolo con circa 250.000 che, a differenza della nostra, è sicuramente molto più diffuso e ben lontani dai francesi che si fermano a circa 100.000.

Il fatto è che a noi italiani parlare piace molto, e la lingua spesso neanche è sufficiente per esprimere tutto quello che dobbiamo dire, tanto che al parlato uniamo spesso gesti, toni ed espressioni come nessun altro.

Il “bla bla bla” insomma è una nostra prerogativa e, visto che neanche la fantasia ci difetta, ecco qui come si spiega tutto questo gran numero di parole in un paese in definitiva così piccolo.

In più abbiamo termini che ai nostri amici anglosassoni sfuggono completamente, come “magari” dove loro per tradurlo utilizzano almeno 5 parole” if only it were true”.

Li battiamo anche con termini come “altruista” dove loro orwellianamente traducono solo con “unselfish” il povero negativo di “selfish”. In un settore dove siamo molto forti, “cucinare” e “cuoco” vengono tristemente tradotti con un unico termine (ancora da Grande Fratello) “cook”.

È vero che un amico inglese potrebbe farmi cento esempi dell’esatto contrario a favore della sua lingua, ma tutto questo non è per una noiosa ed inutile competizione, bensì per ricordarmi e ricordarci che tutte le nostre lingue “madri” sparse per il globo sono un dono prezioso che Geova, a dispetto dei suoi malefici intenti, ci ha regalato, fornendo un bene unico ed irrinunciabile che va apprezzato, custodito, coltivato, studiato proprio per poterne accrescere i benefici.

Perché non ci esprimeremo mai così compiutamente come con la nostra lingua e se impareremo a farlo al meglio, rivelando ogni singola sfaccettatura del nostro essere e del nostro pensiero a chi ci è vicino, sarà forse più facile farci capire ed accettare, e al tempo stesso capire ed accettare gli altri, contribuendo così ad un vivere comune più facile ed intenso e “magari” chissà, anche più felice.