Ho scaricato cinquanta giga di musica, ma non so perché

Una volta esistevano i long playing, ovvero i vinili. Venivano chiamati anche 33 giri, dal numero di rotazioni che compivano ogni minuto. Era bello comprare un album perché il possederlo, implicava una serie di correlazioni di cui ti saresti accorto solo con il tempo.

 

Tra le più interessanti, c’era il fatto che creava un momento di aggregazione sociale, che poi sarebbe sfociato in una conoscenza, che avrebbe dato vita ad un dibattito. Insomma, possedere una buona quantità di dischi, ti permetteva di elevare la tua competenza, se mai l’avessi cercata.

Si sarebbero invitati a casa gli amici che avrebbero portato le amiche, e già dopo qualche brano, si sarebbe potuto ascoltare il parere dei più esperti, così come l’opinione culturale delle ragazze, che amavano esaminare i testi, tralasciando l’aspetto tecnico della composizione musicale ai maschietti.

L’album veniva ascoltato diverse volte, uno perché non c’erano troppi artisti in giro, due perché la discussione che si accendeva in merito alla qualità della musica e dei temi trattati, aveva bisogno di essere spesso rinfrescata.

In mancanza degli smartphone, delle console per giochi e delle chat, si prediligevano i pomeriggi all’insegna di una buona tazza di thè e di lunghe chiacchierate.

Quindi, gli album che finivano nei giradischi, venivano letteralmente fatti a pezzi, e passati sotto le forche caudine della critica più severa.

 La sinistra prediligeva il rock cantautorale di artisti quali Jackson Browne, Joni Mitchell o gli Eagles e il popolo degli intellettuali amava invece perdersi nelle note del Bebop jazzistico. La destra invece, rimaneva legata agli slogan del ventennio, ma tutti, chi in un modo, chi in un altro, si interessavano dell’aspetto sociale dei temi trattati dagli artisti.

Il download contemporaneo di oggi invece, è freddo, incolore e senza estro. I giovani attendono che un sistema informatico, gli regali qualcosa che non hanno pagato e che spesso non conoscono, ma soprattutto, mi rendo conto ascoltando quel minimo che sanno, in pochi sono interessati ai temi spiattellati dagli hip hoppers. Spesso sono affascinati più da uno slogan triviale, che dal senso di quello che stanno ascoltando.

  Inoltre, la frequentazione del negozio di dischi, ti permetteva di parlare con il titolare e con i clienti, che nel tempo sarebbero magari anche diventati amici. Ci si addentrava nella materia, udendo chi ne sapeva di più.

Quindi si veniva a conoscenza che gruppi come i Weather Report, avevano inventato uno style musicale, fondendo il Rock con il Jazz. Si ascoltavano i virtuosismi dei grandi pianisti del Rock Progressive, così come i chitarristi Blues tipo Eric Clapton.

Insomma, esplodeva una sana competizione tra coloro che ne sapevano di più, che avrebbe regalato ai profani, una conoscenza a fiumi. Ci si scambiava informazioni in merito, e spesso chi amava la musica, amava anche le apparecchiature stereofoniche.

E da lì, si sarebbe potuto approfondire anche l’aspetto tecnico degli strumenti, che avrebbero permesso un ascolto più sofisticato, aprendo al neofita un ulteriore panorama di informazioni e possibilità di socializzare, sapere, conoscere, informarsi, che erano e sono alla base della conoscenza umana.

È anche da qui che nasce la differenza tra la superficialità di oggi e l’attenzione di ieri. Eppure oggi, le informazioni sono decuplicate. Se si apre internet, si può accedere a qualsiasi informazione, in merito a qualsiasi cosa.

Se la qualità e la quantità delle notizie è aumentata, ma i giovani non vi accedono, vuol dire che hanno meno fame di sapere e si accontentano di quel poco che li aiuta a sentirsi protetti. È un luogo comune dire che il passato è meglio del presente, ma se si volesse restringere il tutto ad un ipod, si potrebbe affermare che la conoscenza si è condensata nelle dimensioni di un pacchetto di sigarette.

Oggi, se non si conosce lo style del brano che si sta ascoltando, si afferma che è pop, quando il termine invece, indica la musica popolare, e quindi tutto quello che va dalla tarantella al blues del delta del Mississippy.

La cosa di cui mi rendo ahimè conto, è che ieri come oggi però, la massa non è capace di bilanciare il rapporto tra oggettività e soggettività di un’opera d’arte.

Nel caso della musica, questa incompetenza vedo che va crescendo con il passare delle generazioni.

Ieri, prima di parlare si rifletteva e si tentava di leggere per evitare di incappare in un errore. Oggi, basta dire che piace a me, per pretendere che quel tale brano sia effettivamente di qualità. Come può uno che ha una conoscenza dell’armonia pari a zero, pretendere che il suo solo gusto possa rendere un pezzo stratosferico?

Bisognerebbe approfondire la conoscenza ascoltando tanto, ma soprattutto studiando le basi.

Non dico essere padroni del solfeggio, ma almeno saper capire quali stili musicali hanno caratterizzato la musica.

Concentrarsi sui virtuosismi di vari musicisti come Jaco Pastorius, Jimi Hendrix, John Coltrane, Carlos Santana e poi, come dice la scuola americana di Berkeley, dopo che si è padroni della materia, mettere qualcosa di proprio.

Oggi, un rapper come Bryan Birdman Williams, dovrebbe essere quello che fu uno come Johnny Rotten dei Sex Pistols, nel mille novecento settantotto. Ovvero un rivoluzionario che sputa nel microfono, la rabbia di una generazione che da sempre, vuole stravolgere il passato per guardare al futuro, senza sapere che anche lei, in breve farà parte del passato.

Williams, per dovere di marketing, si fa però fotografare con un paio di occhiali di Gucci, senza accorgersi che così facendo, il pathos della rivolta sociale, viene meno, o forse, è proprio quel tipo di messaggio che i giovani di oggi vogliono.

Un messaggio incentrato sull’apparenza e non sulla sostanza.

Anche in passato c’erano i fighetti, ma sembra che oggi le firme abbiano asfaltato il pensiero. Erano gli anni settanta, e i punk rocker avevano invaso la nostra bella penisola, anche se da noi, sembravano più casarecci.

Quelli veri, si diceva, fossero i londinesi del quartiere operaio di Brixton, che armati di cinture con le borchie, giubbotti di pelle e capelli saponati, si schiaffeggiavano durante il pogo.

Insomma, ho scaricato cinquanta giga di musica, ma non so perché, è come dire avrei potuto approfondire dieci brani, senza farli scorrere come acqua fredda. E se il mondo è diventato superficiale, lo è anche l’aspetto musicale.

Da sempre però, quello che è difficile, è scansato dalla massa. È molto più facile digerire melodie semplici e facilmente orecchiabili che armonie legate al sistema degli intervalli greci, conosciuto come Modale. Soffermarsi, richiede un impegno che pretende un’attenzione ed uno studio e quasi nessuno vuole studiare se non è costretto.

Oggi si vive sui social network, e una foto, raccoglie un apprezzamento cento volte maggiore, di quanto lo potrebbe fare una frase. Siamo nell’epoca dell’informazione mordi e fuggi, e la cosa più brutta è che tra cinquanta anni, quello che oggi vediamo come superficiale e senza basi, sarà di sicuro ricordato come un periodo in cui si dicevano cose interessanti, mentre per noi che lo stiamo vivendo, sembra il punto più basso fin qui toccato. 

Non sono solo i giovani ad essere più superficiali, è il mondo che li circonda che sta lentamente scivolando nell’effimero.

 

 

 

( foto da rockit.it, expresiononline.com )