Lo sport: più veloce, più alto, più forte… e il più intelligente?

Lo sport, come sentirsi uniti anche quando si è divisi… citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte)… e il più intelligente?

 

 

Londra 2012. Un ricordo che sembra lontano, ma in realtà è dietro l’angolo della memoria, sebbene siano passati quattro anni e stiamo già per assistere ai giochi olimpici di Rio 2016. Tutti in trepida attesa, allora, a estrarre bandiere dai bauli, i supermercati che vestono i colori nazionali, amici tutti pronti a vedere quale paese avrà i maggiori campioni… insomma, si ha proprio voglia di una tregua sportiva capace di farci dimenticare le notizie devastanti che ogni giorno ascoltiamo.

Come se non bastasse, gli Europei di calcio enfatizzano maggiormente questa sensazione, facendoci sentire tutti parte di una grande famiglia, di un mondo senza barriere, senza preoccupazioni politiche o minacce islamiste.

Siamo un gruppo di persone che indipendentemente dal ceto sociale, dalle diversità culturali, dalla lingua o dalla religione, tifa e intona inni patriottici.

Ecco che, per disincanto, viene da chiederci se siamo persone realmente evolute e civilizzate o semplicemente siamo degli antichi uomini della pietra in abiti più bizzarri e colorati dell’epoca, che invece di sellare asinelli o cavalli (per i più fortunati), saliamo su animali tecnologici e meccanici che al posto delle quattro zampe si ritrovano quattro ruote.

Sì, perché, se volgiamo uno sguardo indietro e ci soffermiamo a pensare a come siano iniziati i giochi olimpici, qualche domanda sorge spontanea.

Nati nel 776 a. C. a Olimpia, una città greca, questi giochi erano soliti svolgersi ogni quattro anni, proprio come oggi, e, udite, udite, ogni guerra in quel periodo cessava.

 

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E se ai vincitori erano dedicate statue e poemi ed era loro posta una corona d’alloro sulla testa, della vittoria più grande potevano goderne tutti i greci. In effetti, se tra un’Olimpiade e l’altra le guerre mietevano vittime, durante i giochi le ostilità terminavano e per un breve periodo tutti potevano vivere nella bolla di felicità e pace che auspicavano.

Ben presto, però, i romani presero il sopravvento sui greci e le autorità ecclesiastiche, definendoli giochi pagani, decisero di chiuderli.

Lo spirito olimpico, comunque, non morì mai, tanto che nel XVII secolo in Inghilterra si tenevano dei giochi simili, così come accadde poco dopo anche in altri paesi.  Erano solo piccole manifestazioni nazionali, ma qualche anno dopo, nel 1894 un barone francese, Pierre de Coubertin, espose al congresso dell’università della Sorbona la sua spiegazione per la quale, secondo lui, i francesi avevano perso la guerra contro la Prussia.

Secondo lui i giovani francesi non facevano abbastanza attività sportiva, cosa che induceva i loro corpi a essere più deboli e indifesi. Non per ultimo, però, aggiunse la sua idea di voler vedere i giovani di tutte le nazioni confrontarsi fra loro non in guerra, ma attraverso la forza fisica durante la competizione sportiva.

Due anni dopo si tennero ad Atene, la terra natia dei giochi, le prime Olimpiadi moderne, seguite da un comitato internazionale, il CIO, presieduto da un greco.

Contrariamente a quello che aveva auspicato Coubertin, però, i giochi moderni non impedirono le guerre, tanto che furono sospesi nel 1916, nel 1940 e nel 1944 a causa delle due guerre mondiali.

Fortunatamente, dal 1992, epoca ormai recentissima, il CIO obbliga tutta la comunità internazionale a rispettare la Tregua Olimpica.

Se i giochi olimpici si fermarono durante le guerre, la sfera di cuoio più amata del mondo intero non lo fece. Anzi.

Se oggi vediamo ultras ubriachi, farsi del male, picchiare selvaggiamente gli avversari e comportarsi secondo le norme d’inciviltà più assurde e purtroppo attuali, i nostri nonni ci ricordano di come quella palla abbia unito anche dove da unire c’era ben poco.

 

Indimenticabile nella storia, la partita di Natale 1914, quando a un certo punto l’unico rimbombo che si udì nella terra di nessuno, tra le trincee che dividevano i tedeschi dagli inglesi, fu quello di un pallone che era sbalzato qua e là. Il pallone aveva rimpiazzato le pallottole e per la durata di una partita di calcio l’umanità aveva ripreso il sopravvento sulla barberie”, disse Kurt Zehmisch, un soldato sassone che disputò la partita.

Un pallone giunse da non so dove, i tedeschi iniziarono a intonare canti natalizi e se chiudiamo gli occhi, possiamo sentire le canzoni che abitualmente cantiamo nelle nostre famiglie risuonare in un angolo freddo e coperto di fango, dove uomini iniziarono a divertirsi e a giocare dimenticandosi di essere nemici.

Una partita che vinceva dove tutti i capi di governo avevano fallito, perché il buon senso degli uomini aveva prevalso sulla barbarie.

Prova soltanto a pensare che mentre tu stavi mangiando il tacchino, io stavo parlando e stringendo le mani agli stessi uomini che solo qualche ora prima avevo tentato di uccidereriporta una delle missive raccolta sul sito christmastruce.co.uk. E a queste parole il mondo non poté fare altro che vergognarsi per aver mandato uomini al fronte a combattere una guerra che non era loro, bensì di chi li comandava e aveva interessi, che non erano certamente quelli di mantenere la pace e la fratellanza.

Se il mondo va avanti, tuttavia, la mente umana regredisce.  Uno degli avvenimenti più tristi nella storia calcistica si ha nel 1942, quando dei giocatori ucraini e degli ufficiali tedeschi si sfidarono in una partita.

Se i primi vinsero, com’era ovvio, contro gli ufficiali, questi ultimi non si diedero per vinti e ricercarono la rivincita.

 

Tra miti e leggende, quella partita terminò a fatica con la vittoria della Start, che, nonostante diede motivo di rabbia ai tedeschi, questi si unirono in una foto con i loro avversari sul campo.

La storia ci racconta, però, e qui miti e leggende possono anche tacere, di come i calciatori ucraini furono sterminati poco dopo. Alcune fonti dicono che qualcuno di loro aveva tentato di uccidere alcuni ufficiali tedeschi, mentre altri furono deportati nei campi di concentramento perché così era la legge a quell’epoca.

Fatto sta che di barbarie e di assolute follie di quei tempi non se ne ebbe mai abbastanza e probabilmente non sapremo mai tutta la verità.

Quello che sappiamo è che con scuse “ufficiali” i tedeschi si sbarazzarono di quei giocatori ucraini.

Lo sport, nato per unire,

talvolta ci ha divisi, ma mai come oggi, tra guerre estremiste che tentano di far soccombere il nostro spirito di unione e minano la nostra libertà, e tifosi che di tifoseria proprio non capiscono nulla, dovremmo ricordarci di quei cinque cerchi olimpici, rappresentanti i cinque continenti, nati dai colori di tutte le nazioni del mondo, perché come recita la Carta Olimpica, nel suo primo articolo, “obiettivi sono la non discriminazione, l’uguaglianza e lo sviluppo sostenibile”.

Nella speranza che si riesca a fare nostro il desiderio di Coubertin sul battersi solo nei campi sportivi e non in guerre assurde, ricordandoci che sono solo giochi, il cui scopo è unire, non ci resta che tifare la nostra squadra di calcio agli Europei. Dopodiché stringiamo la mano al tifoso avversario con un abbraccio d’incoraggiamento e un sorriso di fratellanza, nell’attesa di indossare un ottimo repellente contro le zanzare e andare a vedere i giochi Olimpici di Rio 2016.

Sì, un repellente, perché Zika non ha firmato nessuna Tregua Olimpica. La natura, finalmente, si ribella all’ignoranza umana. E chissà che l’uomo, stavolta, non impari!