A che serve la legge.

La mail di un’amica, che ha la bontà di leggere gli articoli che scrivo, mi da l’occasione di approfondire o almeno di aggiungere qualcosa a quanto ho scritto, a proposito dell’infelice caso della signora Rozza. Non me ne vorrà se riporto un brano della sua mail:

…Però una domanda la faccio a te e a me: e se è la stessa legge e le stesse istituzioni che prevaricano i diritti privati, come ti difendi? Molte persone sono state private dei loro diritti nonostante abbiano seguito la legge e talvolta ufficialmente questa dia loro ragione ( i referendum non applicati ad esempio), cosa possono fare? Resistenza passiva? Seguire altre azioni legali puntualmente ignorate?...

In assoluto o, se preferite, in linea puramente teorica, la risposta secca è: non puoi difenderti. Ma solo in teoria, portando il ragionamento all’estremo.

 

 

Per restare al concreto e all’attualità, e per chiudere il penoso caso all’origine di queste note, semplicemente la signora Rozza poteva chiamare i vigili e far rimuovere l’auto. Per l’automobilista sarebbe stata una lezione molto più efficace, per quello che gli sarebbe costato, in termini economici, e la signora Rozza avrebbe dato una bella dimostrazione di senso civico e di rispetto delle regole.

Aggiungo inoltre che, quandanche l’automobilista avesse rimosso l’auto prima dell’arrivo dei vigili, la signora Rozza, in quanto pubblico ufficiale, poteva rilevare e riferire dell’infrazione. Ma, quando si dice “nomen omen”, la signora in questione è, appunto, Rozza. 

Prima di andare avanti mi tocca fare ancora una volta una precisazione, che do per fatta una volta e per tutte e che non farò più nei prossimi articoli. Ho già espresso queste idee in un mio libro, e non faccio questa precisazione per una necessità di pubblicità surrogata, che non m’interessa. Semplicemente perché, se la mia idea rispetto a un problema è quella, è ovvio che non la cambio se scrivo libri o se scrivo articoli. Posso scrivere della stessa cosa diverse volte, ma la mia idea, rispetto a un problema, resta quella, indipendentemente dal perché o dal contesto nella quale la esprimo.

La mia convinzione è che la parola “diritti” non sia altro che il sinonimo della parola “forza”.

I diritti non esistono sempre e in assoluto. E non sono gli stessi sempre e in assoluto. Un secolo fa un marito che scopriva la moglie con l’amante, poteva tranquillamente ucciderla e non scontava nemmeno un giorno di carcere. Si chiamava “delitto d’onore”. Oggi, nella stessa fattispecie, sconterebbe un bel po’ di anni di carcere. Oggi si chiamerebbe “femminicidio”. Perché la situazione è cambiata? Perché la legge si è evoluta? Perché i maschi sono pentiti? Perché la Chiesa è d’accordo?

No, nessuna di queste e-o di qualsiasi altra ragione. La situazione è cambiata perché oggi le donne sono più forti. A partire dai primi del novecento, con le loro battaglie, sono riuscite a cambiare le cose e oggi le donne sono più “forti” e quindi hanno più “diritti”. Tutto qui, detta grossolanamente. E questo vale per tutto e per tutti.

E un esempio lampante di questo sono gli operai o, come qualche nostalgico preferisce, la classe operaia. Negli anni ottanta gli operai avevano molti più diritti di quanti ne abbiano oggi, nella realtà e non nella teoria.

Erano gli anni del boom economico e il sottoscritto si permetteva il lusso, solo che un direttore o un caporeparto lo guardasse storto, di licenziarsi in tronco, lasciare lì le macchine che andassero da sole e andare via. Gli bastava fare un giro in zona industriale e tempo due, massimo tre giorni era felicemente al lavoro in un’altra fabbrica.

In teoria, ma è pura teoria, oggi gli operai hanno più diritti di allora. Nella realtà è bastata una crisi e i diritti degli operai “conquistati” in trent’anni di lotte sindacali si sono dissolti, come la nebbia, e un manager italo-canadese o che so io, con i modi e le idee di un “sciur paron da li beli braghi bianchi” ha fatto e disfatto contratti, orari di lavoro e quant’altro strafregandosene altamente degli operai, dei sindacati e dei “diritti”.

E, per tornare ai cari bambini che sono nel cuore di tante anime belle… i bambini avrebbero diritto a poter frequentare una scuola materna. Ma questo diritto non esiste. Le scuole materne dello Stato sono poche e non possono accettare tutti. E allora molte famiglie, se hanno soldi, sono costrette a rivolgersi a scuole private (per la maggior parte, guarda caso, cattoliche). Inutile aggiungere che molti bambini, di famiglie che non hanno soldi, non hanno diritto a frequentare la scuola materna.

E’ vero che, in teoria, la legge è uguale per tutti.

Nella realtà se non hai soldi (che vuol dire se non sei forte) e vendi cd taroccati al mercato rionale, ti becchi una condanna a sette anni e te li fai tutti, perché non puoi ricorre in appello e poi in Cassazione. Ma se hai soldi (tradotto: se sei forte) puoi tranquillamente intrallazzare, truffare, evadere tributi e, con l’ausilio di un avvocato mediamente capace, aspettare la prescrizione che, tra l’altro, esiste solo nel nostro paese, giusto per proteggere i “diritti” dell’imputato (quelli più forti, ovviamente.).

Una delle letture più belle nelle quali ebbi la fortuna di imbattermi, da adolescente, fu per me l’ “Apologia di Socrate”. Ne ho ancora un vago e piacevole ricordo. Condannato a morte dagli ateniesi per empietà, Socrate rifiutò decisamente l’aiuto dei suoi amici, che gli avevano già organizzato la fuga. Lo trovava eticamente sbagliato e preferì affrontare serenamente la morte, pur sapendo che la sua condanna era ingiusta. L’unica colpa che si riconosceva, era quella di non essere stato capace di riuscire a convincere gli ateniesi della sua innocenza.

La legge è, di fatto, un male necessario.

E il rispetto della legge è, di fatto, alla base di qualsiasi forma di raggruppamento umano. Anche nel rapporto di coppia, che è la forma più ristretta di aggregazione umana, ci sono delle leggi. Il non rispetto di queste leggi, il tradimento, in questo caso, può portare alla fine di quel rapporto. Di quel raggruppamento. Che sia la coppia, che sia la famiglia, che sia la tribù o il villaggio o la nazione.

Le leggi possono essere ingiuste, sbagliate, stupide, in certi casi perfino dannose.

Ed è giusto, è un dovere, per qualsiasi individuo, combattere la stupidità, l’ingiustizia, le leggi o le scelte sbagliate di questo o quel governo, Capo villaggio o capofamiglia che sia. Ma nell’ambito della legge. E oggi più che nei secoli passati questo è possibile.

Si tratta di fare le scelte giuste, studiare gli strumenti adatti, scegliere le persone più capaci e così via.

Prima di accennare altri spunti, voglio rispondere alla domanda iniziale che mi faceva la mia amica. “…i referendum non applicati ad esempio…). Un referendum non posso organizzarlo da solo. Ho bisogno di un gruppo, di un movimento, di un partito o che altro, che la pensi come me, che condivida la mia battaglia e così via. E se alla fine questo referendum si tiene, significa che il gruppo, il movimento, il partito o che altro che lo sostiene, ha forza sufficiente per imporlo. E se quel referendum vince e poi l’esito di quel referendum viene disatteso, logica vorrebbe che quel gruppo o che altro che è riuscito a imporlo, continuasse a battersi, in via giudiziaria fino alla Corte Europea, per dire. O che continuasse la sua battaglia su quel tema e ripartisse con altri referendum più specifici che di fatto raggiungerebbero quel risultato e così via…

Ma questo presuppone che il gruppo o partito o movimento che sostiene le mie idee, continui ad avere interesse a che le mie idee siano vincenti. Ma non è detto che sia così. Magari quel gruppo ha sostenuto la mia battaglia solo per farsi conoscere, per farsi pubblicità servendosi di un obiettivo nobile. E magari, una volta che quel gruppo è diventato “forte” grazie a quella battaglia… sceglie altri obiettivi, magari per continuare a farsi pubblicità, per continuare a raccogliere consensi.

E allora, se è questo l’interesse di quel gruppo… continuare una battaglia già fatta per vincere la guerra non è conveniente. Meglio fare altre battaglie, farsi altra pubblicità, continuare a crescere e diventare sempre più forti.

Il problema è sempre quello: che ne fai poi, di quella forza?

La tragedia è sempre quella: si aspetta il cinquantuno per cento. Con il cinquantuno per cento anche lo scemo del paese riesce a governare. Perché non si governa da soli. Hai bisogno di collaboratori. E lo scemo del paese è uno solo. E chissà, magari quelli intorno faranno un po’ di disastri e poi, lentamente, impareranno a governare. Ma ci vorranno anni. E il problema è sempre quello: nel frattempo che succede? Mandiamo tutto all’aria?

 

Così come qualsiasi espressione umana, anche la Cultura è legata al concetto di forza, così come l’ho espresso finora. Per questo immagino che, ancora ai nostri giorni, si studi filosofia, nelle nostre scuole, ancora sui testi di Severino o giù di lì.

   Io invece ho avuto la fortuna di imbattermi, ancora adolescente, in una delle più belle storie della filosofia che abbia avuto modo di leggere. Ma faccio fatica a credere che quell’Autore sia oggetto di studi nelle nostre scuole. Uno che scrive un saggio dal titolo: “Perché non sono Cristiano” ha scarse possibilità di essere studiato seriamente nelle nostre scuole. 

Devo a lui e alla sua “Storia della Filosofia Occidentale” il mio interesse per la filosofia e il piacere delle dispute adolescenziali, “infantili” dal punto di vista filosofico, sui soliti temi sui quali qualsiasi adolescente al quale piaccia la filosofia, comincia a irrobustirsi: cos’è il bene, cos’è il male, il bello, l’etica, la morale, la legge e così via.

E, giusto per sentirmi un po’ meno vecchio di quanto sono, voglio ritornare a quei tempi e chiedermi, e chiedervi qualcosa. Chi decide cosa è giusto e cosa è sbagliato? Io? La signora Rozza? L’automobilista?

Evidentemente no. Avremmo tre opinioni totalmente contrastanti. E, per fare un esempio più concreto: perché continuare a martoriare i cosiddetti ai nostri ragazzi e continuare a predicare che non bisogna sprecare l’acqua, che l’acqua è un bene prezioso e ci sono paesi che soffrono la sete, e così via?

Ho la fortuna di vivere nel Grande Nord, ai piedi delle montagne, dove avere l’acqua che esce dal rubinetto, ogni volta che lo apro, non è un problema. E per quello che costa l’acqua, quand’anche ne sprecassi più di quanta me ne occorre, magari perché lascio che scorra mentre mi lavo i denti, mi troverei cinque dieci euro in più sulla bolletta.

E’ a causa del mio spreco che in Sicilia non hanno acqua o che in Africa soffrono la sete? No, lo sapete benissimo. Quand’anche tutti i cittadini del nord sigillassero i loro rubinetti, in Sicilia non arriverebbe una goccia d’acqua in più. Perché in Sicilia l’acqua è un problema non perché non c’è.

Perché c’è la corruzione politico-mafiosa e, come ho detto altre volte, combattere la corruzione politico-mafiosa è difficile, stressante, pericoloso. Se invece ti fai la tua crociata da anima bella, ci fai un referendum, lo vinci, diventi popolare, acquisti voti e il cinquantuno per cento si avvicina.

Dopo… dopo trovi un altro obiettivo, lanci un altro slogan e vai avanti. Capisco l’obiezione e sono perfettamente d’accordo: se avessi un figlio, anch’io gli insegnerei a non sprecare. A non sprecare l’acqua. Ma nemmeno in sogno gli direi che non deve sprecarla perché in Sicilia non hanno l’acqua. E comincerei a spiegargli il significato di parole quali corruzione, interesse, propaganda.

E gli insegnerei a rispettare la legge.

Ma nemmeno lontanamente mi sognerei di dirgli che la legge è uguale per tutti. Gli spiegherei… tutto quello che ho scritto finora. Sperando che Dio me la mandi buona.