Verità e contestazioni

Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Primo: vengono ridicolizzate, secondo: vengono violentemente contestate, terzo: vengono accettate dandole come evidenti. (Arthur Schopenhauer)

 Si tratta di una frase attribuita al celebre filosofo tedesco in cui mi sono imbattuta per caso ma che condivido. Schopenhauer parla di "verità" ma il vocabolo può essere inteso in senso lato.

Penso alle idee anticipatrici che si sono inserite nei differenti periodi storici come flussi controcorrente, alle invenzioni ora ritenute normali senza le quali non potremmo vivere e che sono state realizzate scontrandosi con lo scetticismo e l'ostilità dei contemporanei.

Ma senza andare a cercare sofisticate scoperte o trascendentali idee, credo che queste parole possano trovare applicazione anche nel quotidiano di ogni individuo.

Una volta il medico di base diagnosticò a un'amica una faringite che invece di guarire peggiorava sempre di più.

 La mia amica si ammalava di rado e difficilmente trascinava malesseri: parlando con una conoscente che aveva una bimba affetta da pertosse, si convinse che i sintomi coincidessero e lo riferì al medico che all'inizio le rise in faccia con sufficienza, poi contestò con fermezza non ci fossero epidemie in giro ma, quando la ragazza ebbe un accesso di tosse di fronte a lui, concluse si trattasse di palese e ovvia pertosse, illuminandola sulle caratteristiche del morbo e le cure da assumere.

Troppo spesso i medici non ascoltano i pazienti, dalle cui descrizioni potrebbero ricavare elementi utili a inquadrare il quadro clinico. Ma non sono gli unici.

L'osservazione di Schopenhauer può essere applicata in generale a chi è chiuso nella propria posizione e dimentica, seppur in buona fede, di mantenere la mente aperta, convinto che ogni tassello della realtà sia sempre suscettibile di un incastro chiaro e prevedibile.

Fleming ha scoperto la penicillina in maniera fortuita: al ritorno da una vacanza trovò una coltura di batteri contaminata che altri ricercatori avrebbero gettato via, infastiditi dalla perdita di tempo.

Lo stesso Fleming riconobbe che di sicuro molti lo fecero prima di lui.

Il medico britannico invece studiò la muffa che si era formata associandola a una precedente esperienza, quando anni prima una lacrima gli cadde su una coltura, e l’approfondimento lo portò a scoprire la penicillina.

La grande preparazione dello scienziato inglese si combinò all'attenzione che ogni mente aperta esercita nei confronti della realtà, senza dare nulla per scontato. 

Eppure ho scovato una decisa critica all'aforisma di Schopenhauer, considerata una frase vuota utilizzata come alibi da chi voglia sostenere una qualsiasi "sciocca" opinione, dato che tutti potrebbero abusarne in quanto, di fronte a una censura, invece di dimostrare la fondatezza dell’affermazione potrebbero opporre il dogma dell’essere "portatori di una Verità" che l'altro non accetta o ridicolizza solo perché non in grado di comprenderla.

Una generalizzazione che secondo me snatura l'intenzione del pensatore tedesco.

Per dare ulteriore sostegno alla propria tesi il critico cita un'altra frase di Schopenhauer presa dall'opera "L'arte di trattare le donne": «Quando le leggi concessero alle donne gli stessi diritti degli uomini, avrebbero anche dovuto munirle di un’intelligenza maschile», affermando con scaltrezza che se si crede valida la prima affermazione del filosofo bisogna accettare anche questa.

Un sillogismo degno del più abile dei sofisti greci!

Ma il sillogismo è formale e non tiene conto del contenuto delle parole.

Prima di tutto occorre considerare il periodo storico in cui Schopenhauer è vissuto, la prima metà dell’Ottocento, e il ruolo svolto dalla donna fino a quel momento: esclusivamente quello di madre, moglie, cuoca, cameriera e prostituta.

Le donne non potevano studiare e una scrittrice contemporanea di Schopenhauer pubblicava con un nome maschile, George Sand.

Diciamo che le donne di quei tempi non avevano grande possibilità di esprimersi e si può comprendere che non avessero colpito in maniera particolare l’autore de “L’arte di trattare le donne”, portandolo a quella dura affermazione.

In secondo luogo la critica presuppone il fatto che se a qualcuno piace uno scrittore, un pittore, un cantante o un filosofo debba per forza amarne ogni libro, quadro, canzone e idea. O tutto o nulla: non mi sembra una posizione molto equilibrata.

Posso apprezzare un romanzo, un dipinto, una melodia, un’opinione, ma non è detto che le produzioni successive incontrino ciascuna il medesimo consenso. E che il mancato apprezzamento di una debba portare alla negazione delle capacità dell’autore.

Si può condividere uno stato d’animo, un sentimento, una situazione e non altre che non ci sono vicine… come si possono avere amici e andare d’accordo con loro senza dover possedere l’identica visione della vita su ogni questione. 

Le esperienze personali portano a forgiare opinioni diverse: è un fatto del tutto naturale anche se talvolta fastidioso. E le convinzioni non sempre sono attendibili e fondate.

Se però vengono sostenute in maniera rispettosa e accompagnate da un ascolto attento possono fornire spunto di crescita.

La consapevolezza dell’unicità di sé stessi e degli altri credo sia un concetto fondamentale che non deve essere mai dimenticato in quanto necessario per la costruzione di una società funzionante, basata su rapporti sani e produttivi.

Articolo Paola Iotti Verità e contestazioni