La diga sul Vajont

Un giorno d’estate del 1959, avevo sedic’anni, io e due amici dell’oratorio, organizzammo una gita in bicicletta su e giù per le Dolomiti Friulane. La meta era la diga sul fiume Vajont.

 

Tutti nel nostro paese parlavano di quella gigantesca opera e noi volevamo vederla da vicino. La sera prima della partenza ci eravamo riuniti per studiare l’itinerario, che prevedeva di attraversare Pordenone e poi di proseguire per la Valcellina fino a raggiungere Erto a 1200 metri d’altezza, quindi la diga.

 

 

 

Abbiamo sempre in mente film e spettacoli teatrali sulla tragedia del Vajont. Questo libro li ha ispirati tutti e aggiunge una parte molto importante: quello che accade dopo.

Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont  

 

 

 

Partimmo all’alba, l’aria che si respirava, secca e pungente, ci faceva presagire una bella giornata di sole. Portammo con noi solo dei panini e il necessario per riparare la bicicletta. Per dissetarci, avremmo bevuto l’acqua fresca che sgorgava dalle fontanelle dei paesini che attraversavamo. A quel tempo la maggior parte delle strade erano sterrate e strette. Molti erano i tornanti e le pendenze ripide che dovevamo superare.

Il tratto più pericoloso era senz’altro quello della vecchia strada della Valcellina, caratterizzato da gallerie, strapiombi e pareti intagliate nella roccia. Ma anche la più spettacolare, grazie agli scorci di paesaggio che lasciava intravedere. La fatica per arrivare alla meta era notevole, ma ci sosteneva la gioia che avremmo provato al nostro arrivo in cima.

Quando vi giungemmo la diga era quasi ultimata. Appoggiammo le nostre biciclette contro la parete che faceva angolo con la diga e andammo a passeggiare sopra il suo coronamento. Davanti ai nostri occhi increduli, apparve un’immensa colata di calcestruzzo incastonata fra due pareti rocciose.

Da lassù si vedeva il lago artificiale formatosi a monte della diga, le cui acque apparivano di colore verde smeraldo, e le verdeggianti alture circostanti; a valle si scorgeva l’alveo del fiume Vajont, sul quale scorreva un rivolo d’acqua.

La diga, da tutti considerata la più alta del mondo (265 m) e un capolavoro della nostra ingegneria civile, riempiva d’orgoglio noi friulani e l’Italia. Ma chi avrebbe mai immaginato che, un giorno, sarebbe diventata la causa di un’immane sciagura?

Un cronista del tempo, all’indomani della tragedia, scrisse sul suo giornale: «L’uomo ha voluto modificare la Natura e questa si è vendicata!».

Purtroppo, il turista che oggi fa un giro da quelle parti non respira più l’aria fresca che respirammo io e i miei amici, bensì quella greve che aleggia girando silenziosamente nei dintorni della diga rimasta intatta e tra i pochi sopravvissuti.

 

Per ricordare il disastro del Vajont:

La sera del 9 ottobre 1963, nel bacino idroelettrico artificiale del Vajont, la caduta di una frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque sottostanti portarono provocarono l'inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, Erto e Casso.

I dati numerici sono tutt’oggi agghiaccianti e impressionati:

Circa 260 milioni di m³ di roccia (un volume più che doppio rispetto all'acqua contenuta nell'invaso).

Il bacino artificiale del Vajont conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua

I due volumi assieme provocarono un'onda di piena che superò di 200 m in altezza, così alta da riuscire a risalire in parte il versante opposto distruggendo Erto e Casso.

Le vittime mai del tutto accertate con sicurezza furono circa 1.910.

 

Libri e DVD sul disastro del Vajont

Vajont: Libri e dvd 

 Dal Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont di Tina Merlin 

Abbiamo sempre in mente film e spettacoli teatrali sulla tragedia del Vajont. Questo libro li ha ispirati tutti e aggiunge una parte molto importante: quello che accade dopo.

al DVD "Vajont 9 Ottobre 1963 - Orazione Civile" dell’attore Marco Paolini 

9 ottobre 1963: un'onda di settanta metri abbatte gli argini della diga del Vajont e spazza via dalla faccia della terra cinque paesi. Duemila morti. Quattro minuti di apocalisse. Ma un'apocalisse annunciata da sette anni. Trent'anni dopo, Marco Paolini, straordinario attore-autore, comincia a portare in scena il racconto del Vajont. Nasce così uno spettacolo che è insieme memoria, documento, creazione, denuncia minuziosa...