Culture antiche: ricerca, speculazione, teorie e criticità.

La ricerca (antropologia, archeologia, archeo-linguistica, geologia, genetica e via di seguito) è un terreno insidioso per i cultori di storia antica quanto per gli stessi ricercatori. Frequentemente assistiamo al perdurare di teorie che restano tali in quanto, una delle maggiori criticità in ambito dello studio è la mancata comunicazione e sinergia tra le varie specialità.

Come a dire: “la mano destra non sa cosa fa la sinistra.”

A questo proposito il dibattito maggiormente acceso e, abitualmente improprio, ruota attorno alle “teorie” circa i popoli pre e indoeuropei.

Paradossalmente, la ricerca non fa altro che ricondurci alla rotta di diffusione delle tribù indoeuropee che hanno spinto i popoli in questione, per via dell’inaridimento delle terre intorno al Mar Nero, attraverso le steppe, verso ovest, Europa; verso nord, le Russie; verso l’oriente, Indie e Cina del nord; verso sud, sino a quello che diventerà il regno degli Ittiti.

L’archeo-linguistica ha tracciato rotte indiscutibili a suon di parole. La genetica, attraverso lo studio degli “aplogruppi” ha ben definito le radici dei popoli e le migrazioni.

L’antropologia ci racconta l’evoluzione di quel genotipo e di quelle culture eppure, unitariamente alle se pur esigue prove archeologiche, è sospesa tra i “se” e i “ma”.

Ma in verità non è così.

Esistono studi paralleli. Sebbene scarsi, esistono reperti. Esistono rotte ben definite e inoppugnabili tracciate dal passaggio fisico, culturale e di costume dell’uomo e dalla propria storia.

Sappiamo, con ragionevole certezza, quali fossero le risorse in quel periodo storico. La storia geologica del nostro pianeta lo conferma eppure, il “vuoto cosmico” tra i meandri della stessa ricerca, lascia spazio agli speculatori.

L'errore che solitamente si compie, risiede nel valutare le antiche culture attraverso i parametri sociali e culturali attuali quando, biecamente, si strumentalizzano ora a favore di un'ideologia politica ora a favore dell'altra.

Dal 900 a tutt'oggi, quando il nazismo ha posto in essere una distruzione sistematica del valore filosofico, culturale e simbolico delle antiche culture del nord Europa, pare non sia davvero possibile porre in essere una lucida e sana analisi degli antichi popoli.

I preconcetti del genere: “erano spietati", “erano sanguinari” “erano barbari”, quando barbaro voleva indicare “privo di scrittura”, sono solo un'offesa alla nostra intelligenza. Affermare che le antiche culture fossero naziste è un diffuso pregiudizio che denota una triste povertà; sotto qualunque profilo.

Pubblicare link di collegamento ai genocidi della storia, mentre si parla di ondate indoeuropee, è solo indice di scaltra e ambigua politichetta e avvilente incompetenza.

Abbiamo petroglifi, la cronaca dell'epoca, incisi dalle culture preindoeuropee che non riportano scontri, sacrifici di massa e men che meno genocidi.

Sappiamo con certezza che, i costumi funerari delle culture preindoeuropee e indoeuropee, coesistettero a lungo. Conosciamo, con ragionevole certezza, nei tempi e modalità, le rotte geografiche compiute dai costumi in oggetto e dalle tecniche e materiali utilizzati per la lavorazione di oggetti di uso quotidiano.

Quel che è certo, attraverso la cultura della Grande Madre propria dei popoli preindoeuropei e non solo, assorbita dai celti, dai romani, dai germani e vichinghi intanto che  conservarono la propria cultura patriarcale, vi fu una graduale fusione delle due culture.

La protoscrittura delle culture preindoeuropee, ampiamente studiata e confrontata con la simbologia nordica, l'ogam e la scrittura runica, ci illumina circa l'embrionale di scrittura simbolica presente in Europa e appresa dagli invasori i quali, con ragionevole certezza, non ne possedevano.

Dal simbolo dei tre triangoli sovrapposti al martello di Thor (dio solare e non guerriero intanto che non sappiamo spiegare per quale ragione sia migrato dalle mani della Grande Madre al dio scandinavo), la simbologia femminile si articola tra le spire di culture probabilmente estranee alla cultura matriarcale. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le prime fortificazioni appaiono tra il VII e il V millennio nei Balcani mentre in Italia dal V millennio, furono erette nel Tavoliere, in Calabria e in Sicilia. Per quanto riguarda il resto dell'Europa, gli insediamenti fortificati risalgono al IV millennio mentre possiedono caratteristiche riconducibili al protoceltico.

Da non dimenticare, che le ondate Kurgan si protrassero sino al 1500 a.C.

Per contro, le pacifiche popolazioni che, forse, a macchia di leopardo furono oppresse, i nuovi abitanti d'Europa fortificarono i propri insediamenti al fine di difendersi da “se stessi”?

Sì, è fortemente probabile se non addirittura scontato, che clan bellicosi furono costretti a difendersi da altri Kurgan giunti in ondate successive.

Non arroghiamoci il diritto di spianare il ditino contro il nostro passato mentre, sentendoci estranei, crediamo che debbano essere assolte o condannate.

Le culture antiche devono essere valutate e studiate con attenzione; non giudicate.

Per quanto i loro pregi ancora oggi stupiscano alla luce della mediocrità dei nostri tempi, non dobbiamo mai dimenticare la loro semplicità, le loro paure e i loro limiti quando, l'embrionale democrazia referendaria dei popoli del nord, e non solo, farebbe arrossire un qualunque Paese guidato da incapaci incoerenti.

(foto della cartina Diletta Nespeca, wikipedia.org, 

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