Ragione e Sentimento: un perenne conflitto

Il Settecento, come tutti sanno, fu il secolo in cui vennero celebrati "i lumi della Ragione", ritenuti la via da seguire per curare tutti i mali dell'umanità; poi giunse l'Ottocento, che si oppose fieramente a tale concezione, indicando nel sentimento la vera essenza dell'animo umano...

Come scrisse Alessandro Manzoni nel V Maggio: "Due secoli, l'un contro l'altro armati".

Anche la concezione della Storia, divenuta un catalizzatore primario della riflessione per entrambe le correnti, viene interpretata in modo diametralmente opposto:

gli Illuministi eliminano tout court ogni spiegazione dei fenomeni storici non interpretabile mediante processi puramente terreni;

infatti rigettano con decisione l'idea di "monarchia per diritto divino", sostenendo che non Dio, ma la politica, gli esiti delle guerre, l'abilità delle dinastie regnanti e gli accordi diplomatici (il Settecento fu anche il secolo dell'affermarsi della diplomazia) hanno deciso chi dovesse reggere le redini dei troni.

l'Essere supremo di cui parla il Deismo non si interessa a quanto accade sulla Terra; l'esistenza di Dio non viene infatti negata, ma il famoso Orologiaio ha costruito un meccanismo in grado di procedere per proprio conto, in conformità alle concatenazioni di cause ed effetto governate appunto dalla Ragione.

I Romantici inorridirono innanzi a tanta miscredenza: la Storia non può svolgersi e attuarsi se non seguendo un misterioso disegno divino, guidato dalla Provvidenza:

solo quando gli eventi si saranno conclusi per l'uomo sarà possibile comprenderli, grazie al risolversi delle apparenti contraddizioni e negatività che hanno accompagnato l'evoluzione dei fatti. Allora tutto apparirà giustificato, anche quanto pareva attribuibile al male e all'ingiustizia.

 

A ciò si riconnette il giudizio diametralmente opposto dato sul Medioevo:

per gli Illuministi esso coincide con l'età dei "secoli bui", durante la quale la superstizione e l'ignoranza hanno ottenebrato ogni possibilità della Ragione di rischiarare il cammino verso il sapere;

al contrario i Romantici vedono nel Medioevo il momento storico in cui valori supremi come la fede, la fedeltà alla propria missione, il coraggio e la dedizione ai più alti valori etici hanno fatto assurgere individui eccezionali al rango di eroi.

Entrambe queste filosofie sono figlie della borghesia, quindi individualistiche; risultano però diversissime quando si tratta di scegliere quali caratteristiche vadano premiate e incentivate e quali invece siano da biasimarsi.

Il savant del XVIII secolo guardava il mondo con ironia (si pensi al Candide di Voltaire), si batteva contro l'oscurantismo religioso e perseguiva il mito della felicità, fine ultimo per ogni essere umano consapevole del proprio ruolo nel cosmo;

l'eroe romantico invece è tutt'altro che felice, inghiottito nel turbinio delle proprie passioni e incompreso dalle masse, rinchiuso in quella torre d'avorio dalla quale afferma la propria superiorità etica, sempre pronto al sacrificio e destinato a perire (innumerevoli sono gli esempi: dal Réné di Chateaubriand al Werther di Goethe).

 

L'eroe romantico muore per amore, per un irrinunciabile anelito di libertà, per la patria "si bella e perduta"; il savant illuminista invece mira a vivere per percorrere la via della conoscenza, per aprirsi a nuovi orizzonti culturali (tema del cosmopolitismo, che ritorna dopo secoli e secoli di eurocentrismo e disprezzo nei confronti delle altre forme di civiltà), ben lungi dall'immaginare che tutte le sue belle speranze naufragheranno nel bagno di sangue e nella spirale di violenza incontrollata della Rivoluzione Francese.

Proprio questo gli viene in primo luogo rimproverato dai rivali romantici; che tuttavia, alla prova dei fatti della Storia, non risulteranno meno utopisti.

Occorre però porre in rilievo che i Romantici non si ritennero, in senso proprio, degli irrazionalisti: dai loro presupposti derivò infatti la filosofia idealista, la quale interpreta il Cosmo e la Storia come governati dalla Mente Divina (e nulla si può supporre di più razionale).

Quello che il pensiero ottocentesco rigetta è il concetto di ragione elaborato dagli Illuministi, giudicato troppo freddo, astratto, incapace di spiegare in modo convincente il senso dello svolgersi degli eventi umani.

A cosa deve quindi affidarsi l'umanità per assicurarsi un futuro prospero e libero dalle sofferenze e dalle ingiustizie che da sempre l'affliggono? Alle facoltà razionali o ai nobili sentimenti di cui è pur capace? Oppure ad entrambi, superando questa insanabile dicotomia?

Quel che è certo è che, dopo due secoli da questo dibattito, siamo ancora lontanissimi dal saperci comportare con rettitudine. Altre filosofie e ideologie si sono nel frattempo sviluppate; ma, se guardiamo il mondo di oggi, possiamo dirci soddisfatti del nostro cammino intellettuale?