Rileggere la Critica della ragion pura oggi

Perché rileggere la "Critica della ragion pura" oggi?

Qualcuno ha già tentato di salutare una volta per tutte Kant in ambito filosofico. Infatti in filosofia oggi dilaga la posizione del realismo, che lo si intenda come nuovo realismo, come realismo ingenuo o come realismo negativo, non ha grossa importanza; rimane solo da parte la posizione del realismo interno, l'unica che non rigetterebbe la critica di Kant.

 

La fisica quantistica, il cognitivismo e la neurologia non fanno altro che confermare questo scritto e si muovono sempre a partire dalle sue considerazioni. È vero che la fisica quantistica non parla più di quel mondo che è oggetto dell'esperienza e per questo sarebbe molto lontana da Kant, ma essa parte già dal presupposto che la realtà che vediamo è un fenomeno e che bisogna indagare la struttura dell'oggetto per capire come possa darsi la conoscenza.

La neurologia insieme al cognitivismo non stanno facendo altrettanto per il soggetto? Questo fatto mostra semplicemente quanto poco dialogo esista tra queste discipline, visto che la filosofia con quel tipo di orientamento si pone in totale contrapposizione a queste scienze.

 La soluzione di Markus Gabriel non è soddisfacente in quanto la sua suddivisione in ambiti oggettuali della realtà non può che essere che l'ennesima operazione mentale che lui considera erroneamente come oggettiva (non basta dire che la fisica quantistica lavora con un altro ambito oggettuale diverso da quello della filosofia, perché queste sono solo distinzioni puramente mentali).

In ogni caso tale operazione divide ancora di più le varie discipline, come dire: ognuno il suo ambito oggettuale, ma non ti immischiare nel mio! Quando invece si pensava che queste discipline cercassero tutte di comprendere lo stesso mondo (territorio). Almeno in quel caso esisteva un dialogo che era quasi doveroso.

In realtà non l'abbiamo fatta finita con Kant, a dispetto di chi lo crede e fa anche strano che Gabriel ammetta che la rivoluzione copernicana di Kant sia un progresso in filosofia, ma poi la sua filosofia parta dalla sua negazione più assoluta.

Perché non è ancora finita? Prima di tutto come stavo dicendo e in parte voglio spiegare nel testo, le varie scienze dopo tutto vanno in una direzione che tende ad assumere una certa impostazione kantiana, non tanto nella soluzione dei problemi, ma nell'impostazione dei problemi stessi.

Tuttavia è strano che ci siano persone come Steven Pinker che abbiamo così scarso interesse per la filosofia o non ne capiscano l'utilità. Il discorso delle scienze è molto diverso dal banale discorso del realismo ingenuo ripreso dal senso comune.

Nessuno più crederebbe o dovrebbe credere che una ciabatta c'è e sta là fuori semplicemente perché che lo voglia o meno mi è di intralcio. Nessuno è per un idealismo nichilista che nega interamente le cose, neanche Kant considerava i fenomeni delle semplici parvenze.

Piuttosto il problema è come si generino certe sensazioni in noi, come quello che percepiamo: la solidità dell'oggetto, il problema dell'urto, partendo dal fatto che in realtà quella ciabatta la fuori è fatta di atomi e questi atomi sono pieni di vuoto in cui ruotano questi elettroni.

In realtà, per dirla in termini nietzscheani, il nostro problema è come possa da quel mondo fatto di caso e caos, che è il dionisiaco, generarsi la realtà delle belle apparenze che è l'apollineo.

Il dionisiaco non è altro che quel mondo sempre indeterminato della fisica quantistica e Nietzsche come filosofo anticipa la scienza, fa cadere l'idea della scienza apollinea di Newton a cui Einstein è ancora in parte legato.

Quando costruiamo dei robot le prime domande che dobbiamo porci è: come devono essere fatti perché interagiscano con la realtà così come la vediamo? Come devono essere fatti perché apprendano da questa realtà? Come devono essere fatti perché agiscano in modo etico nei confronti dei propri simili e degli esseri umani?

Ciò non sarebbe nulla di nuovo se non le vecchie domande kantiane applicate ad un robot: cosa posso sapere? (In base a come mi hanno costruito), cosa devo fare? (In base alle mie facoltà derivate dai miei programmi), cosa posso sperare? Che cos'è un robot?

Ovviamente il robot per Kant non sarebbe paragonabile ad un uomo perché non è libero e non è portatore della legge morale, ma infatti il problema morale nel robot si porrebbe in maniera molto diversa e per questo rimando alle tre leggi di Asimov.

Anche il fatto che ci sono sempre più simulatori in grado di ricostruire realtà virtuali che imitano sempre meglio quella in cui noi stessi ci muoviamo, per non parlare poi del fatto che ormai è ovvio per tutti che la realtà non finisce con quello che noi vediamo, queste cose non dovrebbero far pensare a qualche filosofo attuale?

Il mio obiettivo in questo articolo consiste quindi nel riproporre la "Critica della ragion pura" di Kant perché la considero molto utile per gli studi scientifici attuali, in particolare per quel che riguarda il cognitivismo; in secondo luogo scrivo questo testo anche per esporre quella che è sempre stata la mia interpretazione del libro, la quale voglio sottoporla al giudizio dei lettori, in quanto può essere più o meno condivisa.

In primo luogo, come per esempio ha già fatto notare acutamente Maurizio Ferraris, Kant parla di rivoluzione copernicana, mentre in realtà si tratterebbe piuttosto di una rivoluzione tolemaica. Il fatto è che Copernico aveva costruito un modello che non era affatto antropocentrico, ma aveva piuttosto posto l'uomo in un angolo dell'universo; Kant invece ha messo il soggetto in centro e ha posto gli oggetti come fenomeni che gli ruotano attorno.

Ma anche questa lettura pone dei problemi secondo me e si discosta un po' da quello che forse voleva dire davvero Kant. Kant infatti non parte dal soggetto, certamente il suo discorso concerne l'uomo, dopo tutto non mi pare che si sia mai chiesto come vede il mondo un pony, ma questa centralità dell'uomo è solo in quanto l'uomo è già oggetto dell'indagine perché a Kant interessa la conoscenza dell'uomo.

Ci sono dei testi come “l'Antropologia pragmatica” in cui Kant prende in considerazione il problema degli esseri razionali non-terrestri (alieni), in quel caso si pone il problema su se loro vedano la realtà veramente come noi e la conoscano nello stesso modo.

Quindi l'uomo è punto di partenza solo come oggetto di indagine e il soggetto invece, come si noterà, è il termine ultimo, non è il punto di partenza. Avrebbe quindi poco senso rappresentarsi un soggetto in sé con una serie di oggetti per sé, che sono per sé perché sono per un soggetto.

È questa visione, che spesso sembra apparire in certi manuali, che secondo me è completamente sbagliata. Infatti il soggetto, come sarà più chiaro più avanti, in realtà è anche quello per sé. Il problema che si pone è: per che cosa?

Il problema in Kant dunque consiste in questo:

da dove si comincia? Questo non è del tutto chiaro nel testo di Kant. Un tipo di soluzione, che non è quella che seguo io, consisterebbe nel dire che non esiste affatto un inizio, il soggetto semplicemente sarebbe per l'oggetto, l'oggetto invece sarebbe per il soggetto, in questo caso avremmo la posizione dell'ermeneutica (ovvero Heidegger, Gadamer, ecc...).

Tuttavia per Kant, secondo me, c'è un inizio.

In primo luogo il libro si articola in tre parti: Estetica trascendentale, Analitica trascendentale, Dialettica trascendentale.

L'estetica concerne le condizioni della sensibilità e riguarda anche la fondazione della geometria e della matematica;

l'Analitica ha per oggetto i principi dell'intelletto che sono la condizione della determinazione del materiale sensibile secondo categorie e condizioni della conoscenza intellettuale, qui il problema concerne la fondazione a priori delle scienze fisiche;

la Dialettica invece ha per oggetto le idee e si interroga sul fatto se la metafisica possa essere una scienza.

Kant parte dalla sensibilità in pratica, parte cioè dall'esperienza e tutto il suo problema in quest'opera è quello della conoscenza. Se la conoscenza è il punto di partenza, essa in quanto tale viene assunta, ma la conoscenza non è un oggetto e non è nemmeno un soggetto, è bensì un evento.

Se quindi soggetto e oggetto devono essere pensati di modo tale che la conoscenza si possa dare o sia in qualche modo possibile, allora molto probabilmente Kant stava considerando il primato di un evento rispetto ad un soggetto e un oggetto che sono per quell'evento, ovvero per la conoscenza.

Un esempio è il caso della causalità, Kant risponde a Hume in questo modo:

anziché pensare due oggetti in sé uno causa e l'altro effetto di quella causa e un soggetto in sé che osserva il fenomeno, ma non comprende come si possa dedurre l'effetto necessariamente dalla causa dal punto di vista empirico, perciò ne conclude che si tratta solo di abitudine, Kant parte dalla causalità come conoscenza dell'evento causale e ne deduce due fenomeni che si danno per questo evento e un soggetto dotato di intelletto in cui vi è presente la categoria della causalità, quindi un soggetto costruito perché si possa dare quell'evento particolare. 

Ora non si tratta d'altro che di spiegare come siano oggetto e soggetto perché questo evento sia. Se l'oggetto è per sé e lo è anche il soggetto, allora vi saranno degli oggetti in sé, così come anche dei soggetti, ma questi non sono mai dati positivamente, non sono cioè mai conosciuti e tanto meno definibili, sono se mai dati sempre negativamente.

Qui sta la vera potenzialità del discorso di Kant, da un lato definisce il fatto che la realtà che vediamo è fatta di soli fenomeni, che di questi fenomeni ve ne sono alcuni di esterni e altri di interni (per questo anche l'io è per sé), dall'altro sta dicendo che il campo della conoscenza è limitato e non si dà conoscenza se non si conoscono prima i limiti.

La ragione nella “Critica della ragion pura” sembra intesa come puro strumento,

come se fosse un attrezzo, nel senso che la ragione ha un uso che è limitato al campo del sensibile così come un compasso ha un uso che è limitato a quello di disegnare dei cerchi.

Il soggetto in sé nella “Critica della ragion pura” non è conoscibile,

è l'anima, ma essa non necessariamente sembra coincidere con la ragione, per questo l'anima in quel testo potrebbe anche non essere una ragione come soggetto.

Qui sta il discrimine tra la “Critica della ragion pura” e la “Critica della ragion pratica”, nel secondo libro Kant parla di soggetto razionale, ma in quel caso ha in mente il soggetto morale e la ragione di cui parla è quella pratica, questo poi vale anche per “l'Antropologia pragmatica”.

La ragione della “Critica della ragion pura” fa pensare di più ad uno strumento, più che ad un soggetto.

È ovvio che la realtà noi la leggiamo attraverso la mente, ma che noi dobbiamo coincidere con la mente è discutibile. Il discorso classico di Kant è quello per cui i concetti senza intuizioni sarebbero vuoti e le intuizioni senza concetti cieche, il fatto cioè per cui il campo limitato vero della conoscenza sta nell'esperienza, in quanto questa non è che quell'insieme di intuizioni che ci vengono date dai sensi.

Questa è la nostra unica conoscenza possibile, non sappiamo veramente se quello che vediamo coincide con come sono davvero le cose, anzi sappiamo per certo che le cose così come le vediamo secondo la loro determinazione sono tali perché successivamente determinate a priori, tuttavia le singole sensazioni isolate non ci danno certezza sulle cose in sé, ma parlano solo di fenomeni.

Il fenomeno non è mai semplicemente una mera parvenza, si tratta piuttosto di come le cose si danno a noi, cioè quindi non è sufficiente per dirci che il mondo sia un'illusione, ma è già abbastanza per farci capire che questa cosa in sé è determinata solo negativamente ed è per questo che sappiamo della sua presenza, ma essa non ha nulla a che vedere con le forme a priori della sensibilità o con i principi a priori dell'intelletto (è questo che ha fatto dire a Schopenhauer che il noumeno è una Volontà unica, infinita, eterna, causa prima, non sostanziale e così via, una specie di anima mundi).

La conoscenza dunque prevede il concetto e la sensazione, queste due cose si riferiscono a due facoltà come l'intelletto e la sensazione.

La ragione ha un campo limitato di conoscenza secondo Kant perché le uniche intuizioni che possono dare contenuto ai concetti sono quelle che ci vengono dai sensi, al di là di questo la ragione possiede una serie di concetti completamente vuoti, meglio definite come idee, come quelli di anima, mondo e Dio.

Su questi concetti non si può costruire una scienza, ovvero la metafisica non è una scienza. Ma dove sta il punto? Non è solo che in quel caso la ragione uscirebbe dal suo campo, il fatto è che mancherebbe di materiale per i suoi concetti.

Qualcuno ha mai avuto esperienza del mondo, di Dio o dell'anima? Si potrebbe rispondere di sì, se per esempio ci si rifacesse ai mistici, ma ovviamente per Kant quella non potrebbe essere un'esperienza, ma soltanto fantasticheria.

Questo fatto si spiega benissimo perché mentre la prima forma di esperienza concerne un mondo che tutti sperimentiamo, in un certo senso oggettivo, nel senso che i fenomeni pur non essendo cose in sé, per Kant sono comunque oggettivi nel senso che tutti vediamo quelle stesse cose e ciò non differisce da individuo ad individuo; la seconda forma di esperienza è soggettiva e personale.

  È vero: tutte le esperienze sono soggettive, non possiamo sapere se vediamo davvero proprio lo stesso colore, faceva notare Wittgenstein, ma possiamo chiedere ai nostri simili se tutti vedono che un certo tavolo è rosso, se è rotondo e così via, che se gli altri vedessero qualcosa di completamente diverso da quello che vediamo noi, dal punto di vista di Kant, dovremmo preoccuparci della nostra salute.

L'esperienza interna per Kant manca di oggettività, è un chiudersi in sé stessi e vagare con l'immaginazione che rifiuta ogni confronto con gli altri, inoltre rischia di confondere il sogno con la realtà. Tuttavia anche se cose come la meditazione o lo yoga non possono costituire una scienza o la prova che esiste l'anima, come spiegherò più avanti, a Kant mancava la psicoanalisi che lui ovviamente non poteva conoscere.

Quest'ultima può offrire dati sull'anima, ad esempio con l'ipnosi. L'ipnosi, chiaramente, si basa sempre su una realtà che non è oggetto dei sensi: l'inconscio; tuttavia è chiaro che per Kant la coscienza coincide con l'io penso, io che scopriremo essere solo per sé, mentre nella “Critica della ragion pura” l'anima non è definita (potrebbe essere allargata all'inconscio?).

Ma vediamo come funziona invece la conoscenza per Kant:

in fondo l'esperienza come campo non è semplicemente una realtà materiale che sta là fuori, ma è come le cose si presentano a noi. La spiegazione della conoscenza nell'opera di Kant la si trova distribuita tra “l'Estetica” e “l'Analitica”, quindi tra sensi ed intelletto.

I sensi ricevono dei dati, questi dati producono modificazioni negli organi di senso e noi percepiamo tutto questo come intuizioni o sensazioni (Empfindungen). Quello che noi vediamo, o questi dati, sono delle molteplici sensazioni che abbiamo tramite i nostri 5 sensi.

In primo luogo ognuno di questi dati viene disposto secondo le forme a priori della sensibilità che sono spazio e tempo, perciò questi dati sono disposti nello spazio e nel tempo. Spazio e tempo per Kant non sono esterni a noi, come oggettivi nella realtà là fuori, ma sono ad ogni modo interni a noi e nonostante tutto reali.

Le molteplici sensazioni oltretutto non sono ancora di un oggetto, anche perché l'oggetto non c'è dato direttamente come qualcosa là fuori, ma è evidentemente qualcosa di costruito da noi stessi, in quanto unità. Una sintesi infatti deve avvenire perché tutte queste sensazioni: uditive, visive, cinestesiche, olfattive, si possano riferire ad un solo oggetto.

Quando questo accade, allora si ha una vera percezione (Wahrnehmung). Fino ad ora credo sia chiaro che quello che noi vediamo sono solo fenomeni, non le cose come sono in sé, ma come si danno a noi, tuttavia queste cose che vediamo non sono nemmeno delle mere parvenze.

Sarebbe troppo ingenuo concludere che alla fine per Kant il mondo sia solo un'illusione, perché è cosa diversa quello che sto dicendo adesso, da qualcuno che sogna o ha un'allucinazione. Kant critica tutte le forme di idealismo come quella di Cartesio o quella di Berkeley, ammette solo quella forma di idealismo che dice che non si può sapere se le cose in sé siano davvero così come si danno a noi.

L'allucinazione farebbe pensare ad una disfunzione delle facoltà, il che è da distinguere dal fatto che noi non vediamo il mondo come le zanzare e che quindi quello che vediamo sono apparenze. Apparenze non significa parvenze. La conoscenza però non può darsi semplicemente a partire da sole intuizioni, ci vuole anche una determinazione intellettuale.

Qui interviene l'intelletto. Ci sono dei concetti che sono elementari per determinare i fenomeni che noi stessi osserviamo e che però non possiamo pensare di aver tratto dall'esperienza, questi sono le 12 categorie stesse dell'intelletto, ovvero quelle funzioni che determinano a priori l'oggetto della nostra conoscenza.

Si parla di cose come: la causalità e la sostanza, questi sono due esempi facili, in particolare perché qui Kant impara dagli empiristi come Locke e Hume.

Locke affermava che nella nostra esperienza non si dà mai qualcosa come la sostanza. Noi infatti vediamo le proprietà delle cose, ma mai queste cose come sostanze, se facessimo cadere un bicchiere troveremmo sempre le stesse qualità del vetro e così via.

Oltretutto Kant non crede che si possa determinare un'unità come indipendente da noi dell'oggetto, noi abbiamo molteplici sensazioni e queste sono unificate da una sintesi che è un'operazione che avviene in noi, poi l'oggetto è determinato come sostante dall'intelletto.

E Hume invece afferma che la causalità non ci è data come rapporto necessario dall'esperienza, essa invece è solo abitudine. Per esempio: il fuoco produce fumo, se metto una mano sul fuoco mi scotto e così via, dal momento che dal fuoco non posso derivare il fumo o anche la bruciatura, se non perché ogni volta che si è data quella causa si è prodotto quel dato effetto, non posso prevedere che le cose andranno sempre in questo modo, quella che si produce in me è abitudine.

Il problema di Kant, nel caso dell'intelletto, è quello di fondare in particolare una scienza come la fisica, dal momento che Hume diceva che se il rapporto causale si riduce ad abitudine, allora anche le leggi della fisica non sono universali e necessarie.

Solo che Hume era convinto che Newton intendesse questo, cioè che la fisica non dà leggi necessarie, ma si basa su esperimenti ripetuti che confermano solo la ricorrenza di qualcosa ma non una legge necessaria e quindi la scienza si fonda sull'abitudine.

Se così fosse vuol dire che la gravità non sarà per sempre e un giorno ci sveglieremo volando. Tuttavia Newton si era preoccupato di fondare bene le sue leggi su spazio e tempo omogenei e per garantire questi doveva garantire l'esistenza di Dio, così è passato dalla fisica alla metafisica.

Kant certamente ha come modello Newton, ma a differenza di Newton usa un'altra strada, parla piuttosto di spazio e tempo come condizioni a priori della sensibilità e la causalità fa parte delle categorie dell'intelletto.

Prima dicevo però che il discorso di Kant può essere utile anche per la fisica quantistica, ma se consideriamo il fatto che la fisica quantistica pretenderebbe di conoscere una realtà che va ben oltre il campo della sensibilità, dovremmo concludere che quello che dico è sbagliato.

  Certamente il fisico più kantiano che possa esistere è Albert Einstein, lui era effettivamente un grande lettore di Kant, pensava la conoscenza della fisica proprio nei termini della conoscenza a priori di Kant, per di più della sua relatività diceva che era vera anche senza la prova dell'esperimento e questo conferma il suo essere kantiano.

Albert Einstein era contrario alla fisica quantistica nonostante lui fosse già molto oltre Newton. Einstein è stato forse l'ultimo fisico ad interessarsi veramente di filosofia, anche perché tentativi successivi come quello di Feynmann che aveva provato ad immischiarsi in un discorso su Whitehead all'università, non erano finiti tanto bene.

Alcuni studenti avevano chiesto a Feynmann se secondo lui l'elettrone poteva essere un "oggetto essenziale" per come lo intende Whitehead, lui gli aveva chiesto se secondo loro poteva esserlo un "mattone" e dopo quella domanda è cominciato un polverone di discussioni di questi studenti su cosa fosse davvero un "oggetto essenziale" per Whitehead, se qualcosa di oggettivo, un'entità del linguaggio o altro.

Alla fine deve essere finito tutto nel dubbio più totale, il quale deve aver dato una pessima impressione della filosofia a Feynmann.

Kant tuttavia delinea un campo che è quello del fenomeno, la fisica quantistica assume questo come dato, ovvero assume già il fatto che la realtà così come la vediamo è ciò che è dato ai nostri sensi o ciò che ci appare.

Tuttavia se si vuole trovare il punto veramente comune tra il pensiero di Kant e la fisica quantistica, basterebbe semplicemente dare uno sguardo al modello dell'empirismo trascendentale di Gilles Deleuze. Dopo tutto Deleuze è partito da Kant.

In opere come “Differenza e ripetizione” cerca semplicemente di capire come possa da un mondo di totale caos, un mondo dionisiaco, di puro caso ed indeterminismo darsi il mondo che noi vediamo e quindi costruirsi per risonanza un soggetto e un oggetto individuali.

Però è evidente che da questo punto di vista volendo fare una trasposizione verrebbe fuori questo: dionisiaco, caos sono noumeno; mentre l'apollineo e l'attuale sono il fenomeno. Si tratta di un altro modo di pensare la generazione di quel fenomeno e del mondo delle forme, quindi l'origine di questa realtà che vediamo a partire da quel mondo indeterminato, quel caos primordiale della differenza in sé: il mondo della fisica quantistica.

 

A questo punto l'unico problema che rimane da spiegare nell'opera di Kant è quello dell'io penso. In pratica fino ad ora ho detto che ci sono delle intuizioni che sono colte dagli stessi sensi, queste sono poste nello spazio e nel tempo; in seguito le intuizioni sono unite in una sola percezione e questa percezione è determinata dalle categorie a priori dell'intelletto secondo quantità, qualità, modalità e relazione che sono le macro-categorie sotto le quali stanno per ognuna tre delle dodici categorie.

Tuttavia ora ci troviamo di fronte a molteplici rappresentazioni, queste devono essere ricondotte ulteriormente ad un soggetto, il soggetto è l'appercezione sintetica trascendentale. Con questo si intende che l'io penso è l'unità di appercezione che accompagna ogni rappresentazione.

Questo io penso di cui parlo in questo momento non è altro che unità oggettiva, posta a principio di tutto il processo, ma a cui Kant arriva come ultimo passaggio.

Questo soggetto non è affatto un soggetto in sé, è piuttosto un soggetto fenomenico, anche se è distinto dal quell'io soggettivo che è oggetto del senso interno, perché in questo caso l'io si riduce ad un insieme di rappresentazioni.

In questo secondo caso l'io perde la sua unità riducendosi ad una sequenza di vissuti come fenomeni interni.

Ad ogni modo quello che conta è capire che Kant mostra l'illusorietà di due forme di unità: quella dell'oggetto e quella del soggetto, la prima si fonda su una sintesi, la seconda è solo supposta, ma non rimanda a nessun soggetto sostanziale come soggetto in sé.

Dopo tutto il punto è questo: l'errore è in Cartesio. Questo io sostanziale doveva essere il Cogito, in generale quello che comunemente chiamiamo Ego e che poi in realtà non ha nulla a che vedere con l'anima. Cartesio diceva: penso, dunque sono.

In questa affermazione sono dette due cose: ci sono dei pensieri e c'è per forza di cosa un io pensante a cui questi pensieri si riferiscono.

È questa seconda cosa che Cartesio non si capisce da dove possa averla derivata perché si ridurrebbe solo ad un argomento banale sulla causa finale dei pensieri, causa finale che sarebbe il Cogito stesso. Dentro noi stessi non troviamo che una catena di fenomeni interni come possono essere i vissuti, da questa catena non deduciamo nessun io necessario.

Kant dice chiaramente che l'io sono non è oggetto di intuizione. Kant questo io penso lo crede come funzione logica e nulla di più. L'Ego è un'illusione e lo è anche quella tanta decantata unità dell'io.

Questo è il punto: Cartesio si poneva il problema del solipsismo, perché l'io sarebbe la cosa più certa e gli altri non sono se non come rappresentazioni che si danno all'io, allora è impossibile derivare ontologicamente l'esistenza degli altri dal Cogito.

Di fatto, però, l'io non è la cosa più certa, ma quella più dubitabile; i filosofi del 900' tutti lo hanno dimostrato e l'Ego è diventano mito. Da questo discorso però è escluso quello che per Kant sarebbe l'io psicologico, quindi l'anima, in quanto essa non sarebbe oggetto di conoscenza, perché questa trascende l'esperienza.

Kant dicendo che la metafisica non è una scienza, come fa nella Dialettica trascendentale, perché essa trascende il campo dell'esperienza e tutti i suoi ragionamenti diventano paralogismi, afferma che non sono scienze sia la psicologia, che la cosmologia e la teologia.

Kant riprende questo soggetto animico solo nel caso della "Critica della ragion pratica" perché in quel caso parla di un soggetto libero nel senso di un soggetto che sa essere principio di una serie causale tutta sua.

Questa libertà è molto diversa dal mero libero arbitrio, il quale consiste in una semplice scelta tra più opzioni e questa scelta potrebbe dipendere semplicemente dal carattere o dai gusti e quindi da una serie causale interna.

Sarebbe qui interessante come si configura il discorso della psicoanalisi, perché ora molte discipline, lo abbiamo visto anche con la fisica quantistica, stanno cercando di andare oltre il campo dell'esperienza, ma non per questo si basano su puri argomenti razionali senza fatti.

La psicoanalisi, per esempio, ha l'ipnosi dalla sua parte e una serie di altri metodi, come l'associazione o l'interpretazione dei sogni (Kant non riconosce ancora l'impotenza delle tecniche di Mesmero, che considera anche nocive, però Kant nell'Antropologia pragmatica fa ampio riferimento a rappresentazioni oscure che guidano anche il nostro comportamento, per esempio non è chiaro cosa muove l'uomo nel suo desiderio di vendetta).

Probabilmente il discorso di oggi, rispetto a quello che affermava Kant, non consiste più semplicemente in un discorso a partire dalla conoscenza, ma di partire da queste realtà per capire come possa darsi questo mondo che noi vediamo.

Quindi ci rendiamo conto che non basta solo dire che vi è un intelletto fatto in un certo modo, dobbiamo spiegare anche molti comportamenti dell'uomo che emergono in superficie dal modo in cui è l'inconscio di una persona, dai vissuti rimossi e così via.

Il discorso kantiano oggi

si declina nel senso che dobbiamo capire come noi possiamo percepire quella realtà caotica della fisica quantistica in questo modo in cui noi stessi vediamo la realtà.

La neurologia o il cognitivismo deve spiegare com'è fatto il cervello di modo che noi vediamo il mondo in questo modo.

La neurologia si accorgerà un giorno che non esiste nessun io nel cervello e che noi siamo soltanto un insieme di molteplicità nervose che cooperano le une con le altre, ma non c'è nessun nucleo centrale in tutto questo e quei nervi non sono delle unità numeriche, ma altre molteplicità.

Steven Pinker per esempio ha una concezione della mente che deriva dalla teoria dell'apprendimento computazionale, essa è definita come un sistema di organi computazionali.

In sostanza Pinker non vede nessun algoritmo generale intelligente della mente e per questo l'io che non è per Pinker una somma di stati cerebrali, esso sembra essere un mistero irrisolvibile o una grande illusione.

Andando sempre più verso l'idea di un neurocostruttivismo, prima si arriverà a capire che il mondo è una simulazione del cervello, ma poi si capirà che questo cervello è un oggetto materiale come quelli del mondo e che quindi bisogna spostare di necessità la teoria su qualcosa come la mente, su qualcosa di molto più immateriale, tenendo presente che anche la mente non ha nulla a che vedere con l'anima.

Ad esempio è oggetto di particolare interesse nella neurofilosofia il problema dell'emianopsia, il fatto cioè che una persona perda completamente la capacità di vedere una determinata parte della realtà, quella destra o quella sinistra.

Non si tratta solo del fatto che non si vede bene quella parte, al che basterebbe solo girarsi, ma il problema riguarda il fatto che è come se per quella persona quella parte della realtà non esistesse affatto.

Per ogni cosa che vediamo c'è sempre un correlato neuronale, sia per i colori, che anche per le forme, insomma è evidente che il problema di oggi consiste nel capire quanta di questa realtà dipende dal cervello.

Però, come ho già detto, una posizione molto riduzionista, come può essere quella dei Churchland, diventa quasi un controsenso, in quanto si finisce per perdere di vista il fatto che anche il cervello è un oggetto materiale, ha una sua immagine e per esempio un colore (il grigio).

Il sistema della conoscenza umana deve far pensare a qualcosa di più del corpo e nello stesso tempo spiegarci come si possa dare l'illusione di avere un Ego.

Sempre sul tema della conoscenza cognitiva, sono da indagare anche gli studi di un certo Michio Kaku, un fisico quantistico, che però scrive libri in cui cerca di delineare anche quello che secondo lui sarà il futuro della scienza e ve ne è uno in cui affronta il problema del futuro della mente.

In questo libro pare scriva anche del tema dell'incontro futuro dell'umanità con gli extraterrestri, in particolare per quanto concerne lo spaesamento totale: cosa vedremo? come vedono loro il mondo? come sono le loro facoltà cognitive?

Questo è un altro tema che non è per nulla estraneo alle opere di Kant, ci sono due passi sull'argomento: 

«Che nella Luna ci siano degli abitanti, benché nessun uomo li abbia mai percepiti, deve certamente ammettersi; ma questo non significa altro se non che nel progresso possibile dell'esperienza noi potremmo incontrarci in essi; giacché reale è tutto quello che sta in un contesto con percezione secondo leggi dal progresso empirico.» (Kant, Critica della ragion pura)

«Potrebbe ben essere che in qualche altro pianeta ci fossero esseri ragionevoli, i quali non possano pensare altrimenti che in modo aperto, cioè nella veglia come nel sogno, o siano in società o soli, che cioè non possano aver pensieri senza ad un tempo esprimerli. Quale condotta ne verrebbe nei rapporti reciproci diversa dalla nostra? A meno che essi fossero tutti puri come angeli, non si vede come possano entrare in relazione tra loro, avere l'uno per l'altro soltanto un po' di stima e sopportarsi reciprocamente.» (Kant, Antropologia pragmatica)

 

Sono semplicemente degli spunti in cui vien fuori il problema del possibile incontro con esseri razionali non terrestri, che come esseri razionali sarebbero comunque uomini, se sono dotati di ragione (per definizione) e porrebbero il problema sul modo in cui questi accedono alla conoscenza.

Ad esempio Kant dice di non poter analizzare l'uomo come animale razionale terrestre perché dovrebbe conoscere questi esseri razionali non terrestri. Dal punto di vista antropologico Kant vede la possibilità di una migliore conoscenza di noi stessi se conoscessimo questi alieni.

Per questo è importante l'impostazione del discorso di Kant: come siamo fatti, vediamo il mondo.

Il discorso di Kant però non finiva con quello cognitivo, infatti Kant nella Critica della ragion pratica riapre il problema della libertà.

  Con la libertà Kant aveva riscoperto il soggetto razionale e l'anima umana, un soggetto noumenico.

Schopenhauer criticava questo libro con due argomentazioni: diceva che una ragione può sempre essere fredda e calcolatrice; che la ragione pratica a Kant gli era letteralmente caduta dal cielo, perché mai due ragioni e non una?

Nella prima critica Schopenhauer confonde la ragione teoretica con quella pratica, anche perché non sta facendo altro che parlare di una ragione strumentale che non sarebbe che un certo utilizzo nella dimensione morale della ragione teoretica; la seconda critica sembra più arguta, eppure noi sappiamo che il nostro cervello è fatto di un lobo destro ed uno sinistro, essi hanno funzioni molto diverse, ma riescono a collaborare benissimo quasi fossero una cosa sola, perché allora non due ragioni?

La neurologia se nega la libertà umana in quanto spiega tutto nei termini di una serie causale interna, certamente non spiega il senso delle nostre scelte e ci sono persone come Pinker che annoverano il libero arbitrio nella branca dei misteri non risolvibili.

Nonostante questo Pinker è convinto che l'uomo abbia visto in tutta la storia un lento declino della violenza a causa dell'empatia che si è sviluppata nell'uomo e che si è estesa sempre più a cerchi più grandi. Quest'idea farebbe pensare ad un progresso morale dell'uomo, il che però dovrebbe presupporre la libertà del soggetto.

Steven Pinker si ispira a Peter Singer, un'utilitarista, ma il suo discorso si potrebbe anche accostare a quello di Kant, che non sembra prendere in considerazione, il quale pensa l'uomo in un cammino di progresso secondo la Provvidenza nella natura nel quale esso realizzerà sempre di più se stesso come animale razionale, creando prima la civiltà, uno Stato che garantisca la libertà dei singoli cittadini, fino ad arrivare alla concezione della pace perpetua e quindi alla repubblica degli Stati.

L'idea della diminuzione della violenza però, ripeto, presuppone il concetto di libertà nell'uomo.

In realtà la libertà è un altro di questi motivi per cui non si può credere che tutto finisca con il cervello, almeno dal punto di vista esistenzialistico della vita come progetto molte cose non avrebbero alcuna spiegazione senza la libertà; per Kant non avrebbe senso la morale: perché arrestare una persona che non ha agito liberamente? non è vero che il colpevole è tale perché poteva agire diversamente?

Si vede da tutto questo che almeno le scienze sembrano muoversi avendo alle spalle davvero quel progresso della rivoluzione di Kant, la filosofia non si capisce perché voglia farne a meno, anche se ne riconosce il progresso.

Più che dire che ci muoviamo nei limiti del pensiero di Kant, che sembrerebbe falso, possiamo dire che molte di queste riflessioni contemporanee di cui ho parlato hanno delle radici kantiane e comunque percorrono dei sentieri che partono da problemi kantiani, anche se trovano soluzioni diverse.

Si parla di problemi come: come sono le nostre facoltà cognitive perché possiamo vedere il mondo così come lo vediamo? Come si generano gli oggetti da quel mondo di cose in sé che forse la fisica quantistica si accinge a conoscere? Come si genera l'illusione dell'Ego? Siamo qualcosa di più di una semplice appercezione sintetica trascendentale? Cos'è la libertà? Ed esiste davvero?

(foto da critica ragion puranewacropolis.by, Markus Gabriel media.katholisch.de, file Steven Pinker at the Göttinger Literaturherbst da wikipedia.org, Kant da wikipedia.org, Wittgenstein da uponthebackofatiger.files.wordpress.com, Einstein wikipedia.org,