Etica ai nostri tempi.

Mi interesso di filosofia da molto tempo e sento dire più o meno le stesse cose in giro, normalmente si ha un'idea della filosofia come qualcosa di esclusivamente teorico, come qualcosa che parla di enti astratti completamente separati della realtà, normalmente la filosofia e la metafisica sono abbastanza sinonimi penso per molta gente.

Verso la fine del 900' gli stessi filosofi dicevano che la filosofia era morta, che non ci sarebbe stato più nessun futuro, alcuni pensavano che la filosofia fosse stata realmente superata dalla scienza, altri dicevano che la filosofia si sarebbe ridotta a sola analisi del linguaggio, in particolare del linguaggio scientifico, ovvero i filosofi si sarebbero posti questioni come: quando un enunciato può essere definito scientifico o meno.

Ho sempre pensato che la filosofia dovesse essere un'arte di vivere, non si tratta solo di teorie, sarebbe molto vuoto se qualcuno riempisse la propria testa di tante risposte e poi non sperimentasse mai quello che dice; diciamo parlerebbe di cose che realmente non conosce davvero.

Certamente ci sono parti della filosofia più teoriche, tra cui la metafisica, l'ontologia, la filosofia del linguaggio, quella della mente e molto altro ancora, però la metafisica parla della realtà che noi vediamo solo in modo più astratto, parla di identità, di qualità, di sostanza e di ente, l'ontologia si pone la questione: che cosa esiste di tutto quello che facciamo esperienza? Quando parlo di un sito web di cosa sto parlando? ha senso dire che esiste ontologicamente e come?

C'è sempre, però, una parte più pratica nella filosofia: l'etica, la filosofia politica, quella economica e quella del diritto.

In ambito economico è interessante il fatto che in filosofia si trovano forse le uniche posizioni alternative al capitalismo (Marx e il marxismo, ma forse anche Martha Nussbaum). Frequentando qualche corso di economia mi sono accorto che in ambito macroeconomico il capitalismo è sempre un presupposto e per essere "trasgressivi" in quel settore non resta che essere keynesiani. Il tema di quello che sto per scrivere sarebbe l'etica.

Nella mia vita c'è stata una svolta, ora sento che sono gli argomenti pratici ad dovermi preoccupare sempre di più e voglio vivere sulla mia pelle ogni filosofia, come fosse un tatuaggio o peggio un marchio con il fuoco.

Negli ultimi tempi sto leggendo un libro in inglese che si intitola:"Eclipse of reason" (Eclisse della ragione) di Max Horkheimer, direttore della scuola di Francoforte. Il libro è concepito come critica del concetto della ragione strumentale, cioè quella ragione che viene pensata solo come strumento per trovare mezzi per raggiungere determinati fini, per esempio, in questo caso, si considera razionale solo ciò che è utile per raggiungere determinati scopi, i quali alla fine sono del tutto soggettivi (per questa ragione la ragione strumentale è anche detta ragione soggettiva). Insomma l'idea di Horkheimer è che questo concetto di ragione abbia completamente rimpiazzato l'altro, ovvero quello di ragione oggettiva, quella ragione che non si oppone alla natura e nemmeno all'oggetto, perché questa ragione aveva come suo unico obbiettivo la verità oggettiva; non solo nelle scienze, ma anche in etica, c'erano dei principi, verità che erano valide indipendentemente da che uno pensasse il contrario o le ignorasse del tutto. Nel mirino di Horkheimer ci sono in particolare l'etica utilitarista e il pragmatismo.

L'utilitarismo sostiene in etica che non vi sono dei principi dati, che è etica un'azione che mira alla felicità del maggior numero di persone, così che si rompe completamente con il principio kantiano dell'uomo che non deve essere mai mezzo, ma solo fine, perché in questo caso ogni mezzo è giustificato se il fine è la felicità del maggior numero. Questa forma di etica è di stampo anglo-americana, ma soprattutto inglese; dopo tutto sono stati gli argomenti utilitaristi che sono stati usati per giustificare i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

Il pragmatismo, invece, è una corrente filosofica americana che sostiene che qualcosa è vero solo quando è utile, in questo senso se una teoria sperimentalmente dimostra la sua funzionalità potrà essere presa per vera, ma non ci sono verità assolute, quindi ogni verità non sarà mai eterna.

Sotto certi aspetti potremmo riassumere il libro di Horkheimer, almeno dal punto di vista dell'etica, seguendo quello che ha detto Nietzsche: il valori sono caduti.

Quello che non è chiaro è se Horkheimer auspica un ritorno alla vecchia ragione oggettiva oppure no, nel primo caso ci sarebbe da dire che non si può tornare indietro, i valori sono caduti e il processo è irreversibile, ma questo è ovvio perché ci siamo resi conto che i valori sono solo nostre costruzioni; nel secondo caso il libro prospetterebbe un futuro molto pessimista.

Insomma l'etica è una parte centrale nella filosofia, il punto è che se si vuole fare etica ai giorni nostri si deve prendere atto che i valori sono caduti e trarne le conseguenze. Su questa via troviamo gli forzi di Nietzsche, Sartre, Deleuze, ma anche Jung. Partiamo dall'esistenzialismo di Sarte, la teoria per cui l'uomo è essenzialmente libero, per cui l'essenza precede l'esistenza, insomma la teoria della libertà umana come essenza dell'esistenza dell'uomo.

Sartre dice di essere ottimista, questo perché a differenza delle varie religioni o di altre forme di pensiero, crede che l'uomo costruisca il suo destino e sia responsabile di tutto ciò che fa, anche quando sceglie di non scegliere.

Esiste una grossa libertà nell'uomo insomma, ci sono dei limiti che sono il fatto che non abbiamo scelto dove nascere, in che famiglia e che corpo avere, ad esempio non si sceglie la sindrome di down, con quella si nasce. Tuttavia l'uomo nell'esistenza è sempre libero. La sua essenza, quello che noi siamo, dipende interamente da noi. Sartre, ad esempio, non crede nell'ereditarietà dell'alcolismo come Zola, ma pensa che se siamo alcolisti questo continua a dipendere dalle nostre scelte.

Dopo tutto è tutta una questione di scelta, anche qualcuno che dovesse pensare che l'uomo non è libero o perché è solo un automa ben caricato o perché completamente soggetto alle leggi del cosmo, compie comunque una sua scelta che diventerà il suo stile di vita e sarà conosciuto dagli altri come il determinista (anche lasciarsi determinare è una scelta, scelta di non scegliere).

Dal punto di vista etico l'esistenzialismo di Sartre affida tutta la responsabilità nelle mani del singolo individuo, non ci sono dei principi, non ci sono delle morali, ogni persona quando compie delle scelte è come se inventasse la sua morale.

Questo ce lo spiega benissimo uno come Gilles Deleuze quando dice che ogni caso inventa un principio. Il problema di Sartre è quello di non aver preso sul serio l'idea del destino, non perché noi non siamo liberi, ma, invece, le nostre sorti sarebbero già scritte, per esempio dagli astri, quanto piuttosto perché l'idea del destino gioca un ruolo particolare nella nostra libertà.

Il problema è che la contemporaneità ha inventato un nuovo concetto di destino senza gli dei, un destino molto più ateo, una versione completamente nuova rispetto a quella delle varie culture pagane in cui questa concezione era diffusa. I creatori di questo concetto nuovo di destino sono Nietzche, Deleuze e Émile Cioran (in particolare quest'ultimo).

Ne viene fuori un concetto di destino come ripetizione, ma la ripetizione, come dice Deleuze, è sempre del nuovo e mai dello Stesso; un concetto di destino come tanti lanci di dadi, un destino che non si oppone più al caso, ma che è il caso; un destino che è caos o caosmos e mai semplicemente il cosmico ordinato, al contrario! un grande caos disordinato; un destino caratterizzato per il suo non-senso e per le sue strade sempre interrotte; per uno come Cioran si può avere un destino anche semplicemente mettendo assieme un po' di disgrazie senza apparenti connessioni tra di loro, in pratica i nuovi disegni del destino assomigliano sempre più ai quadri confusi di Pollock.

Il problema di Sartre è che non si è accorto che si possono cambiare le cose soltanto amandole ed accentandole, ecco perché c'è bisogno dell'amor fati, perché c'è bisogno della filosofia di Nietzsche e dell'etica dell'evento deleuziana.

L'amor fati parte dal fatto che non ci sono principi per giudicare le cose e non c'è senso nella vita, ma è proprio per questo che si può davvero amare l'esistenza.

Deleuze distingue un gioco normale come lo scacchi, da un gioco ideale come il go; nel gioco a cui siamo abituati, quello essenzialista, ci sono delle regole che governano i casi, ogni mossa è sempre giudicata prima di accadere, lo spazio è quadrettato e i movimenti sono tutti rigidi.

Negli scacchi ogni pezzo ha dei suoi movimenti codificati, un modo di mangiare gli altri pezzi e ogni pezzo deve stare in una sua casella, così che per esempio l'alfiere rimane sempre imprigionato nelle caselle dello stesso colore; in un gioco come il Risiko e in molti altri giochi quando si lancia un dado è già stabilito quale è il risultato buono e quale quello cattivo perché ci sono delle regole e dei principi che governano i casi. Ci sono le stesse probabilità che esca 1 o che esca 6 in un dado da 6 facce, ma le regole dicono che 6 è meglio di 1.

Nel gioco ideale non ci sono regole, ogni caso inventa le sue regole, le pedine si redistribuiscono nomadicamente e lo spazio è libero. Nel go, le pedine possono essere posizionate un po' ovunque sul tavolo, così si redistribuiscono secondo leggi del caos e anche se lo spazio è quadrettato, le pedine sono sempre tra i quadretti e non nei quadretti, nei punti di incrocio.

Comunque vada la nostra vita, che alla fine è come un gioco, potrà essere una brutta vita solo se ci permettiamo di giudicare il suo risultato, se mettiamo dei principi prima del risultato che lo giudichino. Se noi non abbiamo più valori non abbiamo più criteri per giudicare la vita, non abbiamo regole, la nostra vita è come quel lancio del dado a sei facce, anche se esce 1 che importanza fa? Deleuze dice che se noi affermiamo il caso avremmo vinto qualsiasi sia il risultato della nostra vita, basta amarla e volere gli eventi.

Il problema è che tutto non finisce con un bel "vuoi quel che fai", "desidera ciò che fai". Se si lotta contro la propria vita, la si odia perché la si vorrebbe diversa, si ottengono solo resistenze e si combatte qualcosa che non si considera più il risultato delle proprie scelte. Soltanto amando la propria vita attuale la si può fare propria come risultato delle proprie scelte libere.

C'è una differenza tra chi si considera vittima della vita (quello che io chiamo la persona giocata) e chi vuole prendere le redini della vita per cambiarla (il giocatore). Quello che succede dopo dipende solo da noi.

Ci vogliono tre cose per un'etica oggi: capire che la felicità è una scelta, uno stile di vita, non qualcosa che dipende dall'esterno; ci serve quello che Jung chiama "giudizio creativo"; ci serve anche comprendere che non ci sono casi semplici, ma solo casi difficili, come dice Sutter a proposito di Deleuze.

Sul primo punto c'è da dire che amare la vita comporta felicità e questa felicità chiaramente non viene dall'esterno, allora in questo caso la felicità è una nostra scelta interiore. Nietzsche, insomma, ci stava insegnando a fare della felicità uno stile di vita.

Questo funziona chiaramente solo se noi continuiamo nella nostra scelta e non ci facciamo influenzare dall'esterno, dopo tutto, qualunque disgrazia ci capiti, se noi vogliamo essere veramente felici cosa dovrebbe impedircelo?

Per quel che riguarda quanto ho detto su Jung, lo psicologo ci dice oramai che non ha più senso opporre il bene al male e tanto meno credere nelle vecchie morali e i loro imperativi categorici. Se le cose stanno così, il giudizio morale diventa qualcosa di puramente soggettivo, una nostra scelta, un po' come in Sartre.

Prima c'erano i casi semplici in cui bastava applicare il principio al caso corrispondente, ma c'erano sempre dei casi difficili, quelli in cui avvenivano i conflitti di doveri, per esempio se qualche ladro prende degli ostaggi e minaccia di ucciderli nel caso in cui non gli facilitiamo la fuga con la refurtiva, cosa dovremmo fare? Qui cominciavano i problemi delle vecchie etiche, quando due principi sono in conflitto e l'uomo è costretto a scegliere, non può più trovare risposte nei libri, è libero dopo tutto, libero di scegliere.

A questo punto il cambiamento deve consistere nel pensare, a differenza di quello che dice Ronald Dworkin per la filosofia del diritto, che ci sono solo più casi difficili. Questi tre punti dovrebbero diventare le problematiche e i punti di partenza per le nuove etiche del futuro. Quello che spero, nei prossimi anni di studio è di saper ancora costruire su questi argomenti e di essere utile per qualcuno.