Fenomenologia e mondo della vita

Mi sto convincendo che per la filosofia sarebbe il momento di fare un balzo indietro per ritornare a quella tradizione di filosofi che si sono interessati tanto in passato del mondo della vita, del Lebenswelt.

Mi riferisco a William James (1842-1910), Henri Bergson (1859-1941), Edmund Husserl (1859-1938).

Tutti questi pensatori appartengono più o meno allo stesso periodo: la fine dell'800' e l'inizio del 900', addirittura due di loro sono nati lo stesso anno: Bergson e Husserl sono infatti entrambi nati nel 1859.

Tuttavia questo articolo non parlerà esaustivamente di tutti e tre gli autori, piuttosto si concentra sul terzo: Husserl.

Questi filosofi hanno scritto opere memorabili come:

I principi di psicologia di James,

Materia e memoria e Evoluzione creatrice di Bergson,

Ricerche logiche e Idee per una fenomenologia pura di Edmund Husserl.

Che cos'è veramente importante di questi pensatori?

Il fatto che siano riusciti a mostrare quanto la filosofia sia vicina alla vita;

che hanno costruito delle forme di pensiero che prendono la vita per quello che è: flusso di vissuti;

che non riducono mai il soggetto all'oggetto;

che hanno la possibilità di studiare le esperienze in prima persona.

Le scienze naturali invece sono molto lontane dal mondo della vita per due motivi: tendono a oggettivare o coseificare l'oggetto dell'indagine e nello stesso tempo quantificano ogni cosa.

È in effetti indispensabile per la scienza ridurre tutto a misura, ma con ciò si preclude ogni possibilità di comprendere la vita; come spiegherò meglio più avanti: lo spazio e il tempo percepiti dall'uomo non sono quantificati, non ha senso dal punto di vista del vissuto dire che un certo oggetto dista dieci metri dal mio occhio che l'osserva; per applicare una tale misurazione devo usare un metro, la mia vista chiaramente non funge come metro, ma oltre a questo è anche evidente che tutte le unità di misura nascono da convenzioni.

Il punto è che anche la psicologia compie le stesse operazioni delle altre scienze, nemmeno la psicologia riesce davvero a comprendere il mondo della vita. La psicologia infatti nasce con un certo Gustav Fechner che si era posto l'obbiettivo di calcolare le intensità di sensazione con una formula specifica basata su un logaritmo, questo sicuramente con l'intento di poter finalmente includere la psicologia tra le scienze perché matematizzata.

La psiche oltre tutto diventa una specie di oggetto, non è più il vissuto del soggetto.

Le uniche discipline che forse si salvano da questi meccanismi potrebbero essere la psicoanalisi e la medicina. La psicoanalisi innanzitutto non quantifica e non trasforma la psiche del paziente in un oggetto da analizzare, piuttosto crede che sia il paziente a dover raccontare se stesso.

Lacan stesso afferma che il sapere sta tutto dalla parte del paziente, perciò la psicoanalisi si relaziona in questo senso con la vita. L'unico problema della psicoanalisi, problema mostrato da Deleuze e Guarttari in Anti-Edipo, è che tende ad interpretare tutto questo vissuto non per come gli si mostra, ma secondo dei significati nascosti che il più delle volte non sono scoperti, ma sono semplicemente il risultato della riconduzione di molteplicità di dati e vissuti a una spiegazione già presupposta. Infatti come spiegare in altro modo che diversi psicoanalisti di fronte ad un molteplice di casi molto vario hanno sempre solo e una sola risposta: l'Edipo.

La medicina anche quella ha l'occasione di comprendere la vita, questo accade per esempio quando il medico chiede al paziente: come sta? Il paziente racconta delle sue sensazioni del suo corpo, quindi i suoi vissuti. Tuttavia quando la medicina studia il paziente esclusivamente sulla base di analisi e calcoli (calcolo della pressione, battiti cuore, ecc.), in quel momento si allontana dal mondo della vita.

Altro problema è il voler a tutti i costi etichettare le malattie, sia la psicoanalisi che la medicina lo fanno, ma quando per esempio si dice che una persona soffre di cistite, non bisogna mai dimenticare che questo termine sta per un complesso di vissuti soggettivi di un certo paziente che la parola tende solo ad etichettare, se non addirittura a mascherare.

La tentazione di trasformare il soggettivo in oggettivo, la vita in materia morta o puro numero, deriva anche dal fatto che le scienze sono costitutivamente scienze delle terza persona, cioè hanno questa prospettiva che riconduce i fatti a oggetti osservabili da terzi, quindi non più personali.

La vera sfida per la conoscenza del mondo della vita è la costruzione di una scienza della prima persona.

La scienza della prima persona è ciò che aveva in mente Husserl con la sua fenomenologia.

Il tema della scienza della prima persona si trova anche in filosofi contemporanei come David Chalmers o Uriah Kriegel,

due personaggi all'avanguardia nella filosofia della mente.

La fenomenologia è semplicemente un regno strano. Questo regno certo riguarda i fenomeni, ma il fenomeno di qualcosa è sempre il come si da qualcosa a me nel mio vissuto. Potrei forse dire che parlo delle cose come mi appaiono, ma sarebbe sbagliato prendere questa apparenza come se con il termine fenomeno Husserl intendesse la stessa cosa che intendeva Kant.

Non centra nulla la classica distinzione tra apparenza e realtà. Piuttosto avrebbe senso distinguere un piano immanente di dati iletici che mi si offrono e un oggetto che mi è dato nel mondo in cui mi è dato (noema) da un piano di enti trascendenti come sono gli oggetti materiali stessi.

La fenomenologia studia i vissuti, ma i vissuti, afferma un certo Albano Unia, sono per Husserl un piano che si trova a metà tra la logica e il mondo fisico. Questo mondo intermedio, che non è meno interno che esterno, non è privo di contatti con le altre due realtà. Il vissuto ha sempre un contenuto intenzionale ed è tramite questo che il vissuto può riferirsi ad un oggetto materiale.

Il vissuto: "io vedo un albero" ha l'albero come oggetto dell'intenzione, ma l'oggetto dell'intenzione come albero intero è diverso dalla parte di albero che io in questo momento sto contemplando, da questo fenomeno.

I vissuti non mancano nemmeno di connessioni con la realtà della logica, infatti Husserl esprime i vissuti in un senso linguistico, ma se il vissuto può essere inteso nel linguaggio naturale e il linguaggio naturale può essere formalizzato dalla logica, la formalizzazione potrà trovare diversi vissuti che avranno la stessa forma, per esempio, dice Husserl, ci sono più vissuti con la forma: S è P. Su questo ultimo punto, per quel che riguarda la logica, si sa che Husserl era in contatto con il famoso padre della logica contemporanea Gottlob Frege, però la logica dopo di Frege ha compiuto dei passi enormi. Il fatto è che la logica formale si è sviluppata esclusivamente all'interno del contesto della filosofia analitica, mentre la tradizione fenomenologica della filosofia continentale non ha contatti con questi sviluppi della logica.

Per questo sarebbe interessante vedere in che modo potrebbe essere utile la logica attuale per l'analisi fenomenologica di tipo husserliano. Anche per questo motivo sono molto importanti tutti quei filosofi analitici che hanno rivolto il loro interesse ad un filosofo continentale come Husserl.

Un aspetto interessante della fenomenologia di Husserl, aspetto che si trova più che altro nel primo Husserl, cioè nell'Husserl delle Ricerche logiche, è che non si parla più di quel vecchio io sostanziale che era il punto di Archimede per Cartesio.

Cartesio aveva costruito una forma di pensiero dove l'io era il punto di inizio e il fatto più certo ed indubitabile.

Oggi sappiamo che Cartesio si sbagliava, o meglio che il suo ragionamento non funziona su dei punti. Cartesio nella seconda meditazione delle Meditazioni metafisiche parte dall'esempio della cera mostrando che, nonostante tutti i possibili mutamenti della cera, qualcosa rimane di certo e questo qualcosa è la nostra rappresentazione della cera che ci permette di concepire quegli stessi mutamenti e dire che è sempre la stessa cera.

Il passaggio successivo di Cartesio sarebbe quello di inferire da questo rappresentare la cera, che è un tipo di vissuto, un io che rappresenta, un io rappresentatore. Questa seconda inferenza non segue necessariamente dalla prima e non è altrettanto evidente quanto la prima. Nelle Ricerche logiche Husserl è molto oltre il soggetto sostanziale, nega che ci possa essere un io penso o un io puro come privilegiato rispetto a tutti gli altri vissuti, afferma inoltre che l'autocoscienza è un vissuto come gli altri senza nessuna posizione particolare.

Non c'è dunque un Cogito come causa originaria di tutti i vissuti, ma credo che Husserl avrebbe altrettanto negato quella posizione assunta da chi afferma che all'origine di tutti i vissuti sta il cervello come causa prima.

Un altro elemento, sempre nelle Ricerche logiche di Husserl, deve essere messo in evidenza: Husserl spiega che la coscienza non va presa come una forma di sapere.

Husserl mostra che questa identificazione porterebbe ad una regressione all'infinito: se essere coscienti di X significasse sapere che X, allora questo sapere comporterebbe un sapere di saperlo, ma questo porterebbe all'idea che bisogna sapere di sapere di saperlo e così via.

La coscienza come conoscenza si riferirebbe sempre a se stessa rimandando all'infinito ad un essere coscienti di essere coscienti.

Questo è un passaggio secondo me molto cruciale perché ha delle conseguenze tutte ancora forse da esplorare. Dire che la coscienza non è una forma di conoscenza, ma qualcosa di ben oltre, cambierebbe le prospettive in diversi campi.

In etica, ad esempio, si dice che il malvagio sa che cos'è il bene senza smettere di essere malvagio, nel senso che lo conosce, ma se la conoscenza del bene non è la coscienza del bene, ci si potrebbe chiedere che cosa accadrebbe se il soggetto immorale fosse cosciente di cosa è il bene, invece di saperlo e basta.

Ora per fare un esempio più semplice in relazione all'esperienza:

se io vedo un pappagallo, anche se non so che cosa sia, perché nessuno me lo ha mai spiegato, chi negherebbe che questa percezione comunque è cosciente e io sono cosciente del pappagallo o quanto meno di un uccello dalle penne variopinte che sta di fronte a me.

Al contrario potrei sapere che cos'è un pappagallo senza averne mai visto uno, semplicemente perché ne ho sentito parlare nei libri, ma non appena dovessi vederne uno dovrei immediatamente rendermi conto della differenza, di questo sovrappiù che mi da l'esperienza di coscienza rispetto alla mera conoscenza.

Ovviamente quello che sto dicendo è anche un'obiezione a tutti coloro che in filosofia hanno sostenuto in passato che senza la conoscenza non è possibile la percezione, arrivando pure a negare la percezione agli animali ed ai bambini.

Alcuni differiscono tra la semplice sensazione e la percezione dicendo che mentre la sensazione si riferisce puramente al dato sensoriale ed è sempre molteplice, la percezione spesso involve processi cognitivi e ci da l'unità dell'oggetto, cosa che non ci è data dalla molteplicità di sensazioni (colori, odori, suoni, ecc.).

Questa differenza mostra che se io, ad esempio, ho caldo, questa esperienza è certamente cosciente perché io stesso mi lamento del calore, ma per essere sentito il calore non comporta la conoscenza del calore, il possedere il suo concetto e conoscerne le proprietà.

Detto ciò, vorrei addentrarmi sempre di più nel metodo della fenomenologia e per questo sposto l'attenzione, da questo momento in poi, verso un altro famoso libro di Husserl: le Idee.

Husserl comincia con quello che definisce con il nome di atteggiamento naturale.

L'atteggiamento naturale appartiene all'uomo comune, all'esperienza immediata. Questa forma di atteggiamento è pre-teoretica, nel senso che viene prima del discorso della scienza, o meglio: l'esperienza precede la scienza.

Husserl è chiaro su questo punto: si dimentica spesso in fisica che non potremmo mai parlare di particelle ed elettroni se non avessimo prima di tutto esperienza di un mondo fisico e naturale dove queste entità in primo luogo non appaiono affatto; un discorso simile si potrebbe fare per le neuroscienze credo: siamo abituati a pensare che vediamo le cose come sono perché la luce riflessa sugli occhi stimola i nervi, i nervi comunicano con il cervello, al cervello passa un'immagine della realtà che è rovesciata, ma viene raddrizzata, noi anche se diamo tutto questo per scontato, non sarebbero possibili queste scienze se non ci fossero esperienze visive, se il cervello non fosse altrettanto osservabile, se non ci fosse tutto un mondo della vita che precede tutto questo e che poi viene convertito nelll'oggetto di studio, nella mera "materia grigia" e i neuroni.

Questa esperienza ci è data come soggettiva, cioè è sempre riferita ad un io; siamo noi stessi che esperiamo.

Noi però viviamo anche in un mondo comune, per questo se diverse cose possono essere oggetto di più coscienze, sebbene non allo stesso modo, si può parlare di intersoggettività.

Husserl parla di mondo "alla mano" intendendo non solo quel mondo che attualmente ricade sotto i nostri occhi o è in questo momento percepibile, ma tutto ciò che nello spazio e nel tempo ci è raggiungibile.

Ci sono due problemi che filosofi come Husserl e Bergson hanno messo in evidenza:

per prima cosa i filosofi in passato hanno pensato che percepire fosse quasi una forma di contemplazione, ma non è così: percepire è agire;

un altro problema riguarda il fatto che spesso il reale è stato ridotto semplicemente alla realtà che può essere percepita con i sensi.

Bergson

Tutto un mondo sta attorno a noi, anche quando non ricade direttamente sotto i nostri sensi. Quando ci serve qualcosa ce lo andiamo a prendere, ci spostiamo, ci voltiamo verso gli oggetti di interesse che prima stavano dietro di noi. Credo che a questo punto sia interessante vedere come in Essere e tempo di Heidegger compaiano concetti, riconducibili a questo discorso, come il commercio con il mondo, l'utilizzabilità e l'avvicinabilità.Bergson e Husserl spiegano che la percezione è azione perché noi ogni volta che percepiamo dobbiamo dirigere l'attenzione verso qualcosa, quindi può darsi che dovremmo spostarci nello spazio, spostare lo sguardo, voltarci o semplicemente spostare la nostra attenzione visiva.

Noi siamo in commercio con il mondo perché siamo sempre coinvolti in questo mondo, agiamo usando gli oggetti di questo mondo, usiamo quindi il mondo che ci sta attorno come mezzo per qualcosa, ma in quanto ci sono mezzi per qualcosa, questi lo sono sempre per qualcuno e per questo hanno un carattere di utilizzabilità. Allo stesso modo un soggetto avrà tutto l'interesse ad avere "alla mano" gli oggetti d'uso, quindi ad avvicinarli a sé.

Un tema che secondo me sarebbe molto da sviluppare per la filosofia è quello del virtuale.

Qui per virtuale intendo il concetto di virtuale di Bergson. Se ci si limita a dire che esiste solo ciò è oggetto di sensazione allora si arriverebbe alla conclusione scettico/idealista secondo cui gli enti esistono solo nel momento in cui sono sentiti, posizione che tra l'altro è stata sostenuta da un certo Berkley.

Si può superare questo problema parlando di esistenza virtuale degli oggetti che non sono immediatamente percepiti.

Il virtuale però si riferisce anche a tutto un mondo interiore come la memoria, la sensazione, la coscienza, il sogno. Anche in Husserl si nota come la realtà non si limiti al campo del percepito, ma va oltre, oltre la semplice materia.

Anche il vissuto è reale, anche il noema.

Ho parlato fino ad ora di questo atteggiamento naturale, in questo atteggiamento le cose ci sono date come esistenti, nel senso che il mondo si offre a noi come reale. Questo semplicemente perché è così che appare, appare infatti che gli oggetti sono del tutto indipendenti dalla nostra mente. L'atteggiamento naturale, tuttavia, non è quello della fenomenologia, la fenomenologia infatti impone un altro passaggio: l'epoché.

Si tratta di un metodo simile a quello del dubbio metodico di Cartesio, con la differenza che non ha lo scopo di trovare qualcosa di assolutamente certo. Si tratta di una messa tra parentesi dell'atteggiamento naturale tale per cui tutti i pre-giudizi sulla realtà sono messi fuori gioco, anche la stessa esistenza della realtà. Cioè non si dirà che la realtà non esiste, che è solo una grande illusione, ma non si dirà nemmeno che esiste perché l'esistenza non fa parte dell'ambito fenomenologico.

Quello che rimane, dopo la messa tra parentesi, sono i vissuti della coscienza.

Husserl non è idealista con questa posizione perché, così come si potrebbe dire anche per Cartesio, non ha l'obbiettivo di dimostrare o non vuole dire che il mondo non è reale o che è semplicemente una costruzione della mente. Allo stesso tempo non credo che Husserl sia nemmeno un realista, tuttavia sembra che molti realisti oggi vedano nella fenomenologia una fonte per le proprie tesi. In effetti l'atteggiamento naturale è molto simile a quello di un realista ingenuo semplicemente perché il realista ingenuo da ragione al senso comune. Tuttavia l'atteggiamento naturale non è quello fenomenologico. Il concetto di intenzionalità di Husserl è dal sapore cartesiano e il vissuto, nel suo essere a proposito di qualcosa, ha come oggetto un noema che non è l'oggetto fisico trascendente, ma è piuttosto un oggetto mentale.

Il realismo mi sembra una posizione troppo semplice, credo che ogni forma di realismo parta da un semplice fatto:

che la realtà, o anche solo un oggetto singolo, resiste ad un soggetto.

La vera sfida della filosofia è trovare delle strategie per superare questa resistenza;

il realismo invece semplicemente si arrende di fronte a questa resistenza, a questa realtà o agli oggetti.

L'uomo comune ha quattro mezzi per superare la resistenza degli oggetti: coprirli, ma non è efficace; distruggerli; mangiarli; farne oggetto di desiderio: il desiderio sembra superare il fenomeno della resistenza dell'oggetto non appena si cerca di fare dell'oggetto qualcosa di nostro, si pensi al fatto che nello stato del desiderio l'oggetto perderebbe la resistenza così come accade nel sogno, quando si parla di sogno di soddisfacimento di desideri.

In filosofia, invece, sono state messe in gioco altre strade:

l'idealismo, ad esempio, a dispetto del realismo, si configura come strategia di superamento della resistenza dell'oggetto tramite la riconduzione di esso al soggetto: il reale torna ad essere mentale;

la fenomenologia sembra trovare un modo di superamento della resistenza dell'oggetto proprio in questa messa in parentesi.

Ho detto che dopo la messa in parentesi rimangono per la fenomenologia come suoi oggetti solo i vissuti della coscienza, ma come sono fatti i vissuti della coscienza?

Husserl distingue nei vissuti due componenti: la noesi e il noema.

La noesi potrebbe essere la qualità d'atto del vissuto, nel senso che il vissuto può essere un giudizio, un desiderio, una domanda, una percezione, una speranza e a seconda di questo fatto cambia la sua noesi.

Un vissuto può anche avere più noesi inscatolate come nel caso di un ricordo di un ricordo.

Il noema è ciò cui si riferisce il vissuto, l'essere a proposito di qualcosa, un carattere immanente del vissuto. Ovviamente il desiderio ha un oggetto desiderato, il giudizio un che di giudicato, la domanda un suo oggetto e così via.

Il fatto è che mentre nell'atteggiamento naturale quando percepisco un albero mi riferisco a quello stesso albero come oggetto fisico trascendente, nell'atteggiamento fenomenologico, nel vissuto, io se ho un vissuto di percezione di un albero, in questo caso l'albero è il noema, ma non è un oggetto fisico trascendente, è piuttosto un oggetto mentale immanente. Non vediamo mai tutto l'oggetto, ma vediamo solo parti, questo processo la fenomenologia lo chiama adombramento. Il noema è l'oggetto come si da a noi, ma presumibilmente non si danno a noi tutti i lati dell'oggetto simultaneamente.

Per essere chiaro vorrei cimentarmi in un esperimento di descrizione fenomenologica di un vissuto percettivo.

Prendo come esempio di percezione il seguente:

in questo momento sulla scrivania davanti al mio computer sta un dado appoggiato su un block notes verde.

Il vissuto di percezione riguarda il dado, quindi il dado è l'oggetto intentezionato. Il dado è girato in obliquo di modo che io posso vedere tre facce: due facce laterali (6,4), una faccia sopra (5).

- Atteggiamento naturale: partiamo pure da questa forma, anche se non è una forma di fenomenologia, poi applicherò l'epoché.

Il dado mi è dato come oggetto solido di forma cubica esistente nel mondo esterno.

L'oggetto fisico è evidentemente trascendente rispetto alle mie semplici percezioni perché è quello stesso dado nonostante i possibili mutamenti di prospettiva. Io dico che questo dado mi appare come esistente, non sto infatti semplicemente sognandomelo, ci sono delle differenze tra il sogno e la realtà molto nette, tali che con alcune prove potrei mostrare che non sogno (per esempio nel sogno un pensiero può modificare la realtà, così come accade nel desiderio, questo però non accade con questo dado).

L'esserci del dado potrebbe non soddisfare le mie aspettative, ma non di meno sta lì e se non lo voglio non cambia questo fatto.

Sono le 21:18 di Mercoledì 14 Dicembre, in questo preciso momento del tempo vedo questo dado non so bene a che distanza da me.

Il computer davanti a me è acceso, per questo motivo la luce colpisce da dietro il dado. In questo modo il dado proietta un ombra di una certa lunghezza. La faccia superiore con il numero 5 è più illuminata delle altre che ho qui davanti. Potrei prendere questo dado ed usarlo, lanciarlo, giocarci oppure potrei semplicemente pensare a questo dado, questo dado potrà ricordarmi molte cose del mio passato, di quando l'ho usato.

- Messa tra parentesi: Quando metto tra parentesi l'atteggiamento naturale non posso più dire se quella che sto avendo è un'esperienza veridica o è un allucinazione, cioè non posso dire se il dado esiste oppure no. Il vissuto credo suonerebbe più o meno in questo modo:

percepisco un dado davanti a me su un block notes verde.

Ci sono più atti intenzionali che si sovrappongono qui: prima di tutto il vissuto intende il dado, ma c'è un altro vissuto parziale che intende il block notes verde. Del block notes posso vedere la sua superficie colorata e numerose scritte con la penna su quella stessa superficie.

Del dado osservo due cose: alcune facce si offrono alla mia vista; la sua ombra. È particolare perché sembra quasi che il block notes verde faccia da specchio e rifletta la realtà, quindi l'ombra appare come un riflesso tridimensionale e altrettanto riflessa sta la luce dello schermo del computer che fa sì che le tonalità del verde non ricevano tutte la stessa illuminazione, perciò in alcuni punti il verde è più chiaro e in altri è più scuro.

Ho già detto che vedo solo tre facce di questo dado, ciò che vedo del dado potrei dire che è immanente al vissuto, ciò che non vedo del dado è invece trascendente ineffettivamente, mentre il dado stesso è trascendente effettivamente. Non ha senso, ho già detto, misure la distanza dell'oggetto da me, perché non sarebbe più fenomenologia.

Ora, se io voglio avere esperienze diverse nel tempo, giusto per capire come funziona il tempo nella fenomenologia di Husserl, posso mettermi a ruotare il dado.

Supponiamo che mi metto a ruotare il dado verso destra e compio quattro movimenti osservando il dado al termine di ognuno. Con il primo movimento cambia una delle facce del dado, scompare la numero 4, la 6 si sposta a destra e appare nel mio campo visivo la faccia numero 3; rigirando scompare a destra anche la 6, appare la faccia numero 1, mentre la 3 si sposta a destra; giro ancora e la faccia con il numero 3 scompare a destra, mentre mi trovo di fronte a due facce: la numero 1 e la 4; rigirando ancora sono da capo. Si noti che la faccia superiore è rimasta sempre la numero 5, quindi qualcosa di costante in tutte le percezioni era presente. Se chiamiamo la prima percezione i0, tutte le altre quattro saranno i1, i2, i3, i4. Qui "i" sta per impressione.

Ognuna di queste impressioni rappresenta una forma di adombramento dell'oggetto che ogni volta ci è dato solo in una delle sue parti.

Se ad ogni espressione facciamo corrispondere ogni impressione ad un punto-ora del tempo abbiamo:

t0, t1, t2, t3, t4. Questi punti-ora disposti nella linea del tempo danno il corso del tempo.

Tuttavia, accade che noi ricordiamo immediatamente ciò che è accaduto poco prima, questo tipo di ricordo fresco Husserl lo chiama ritenzione.

Grazie alla ritenzione nella memoria possiamo costruire una continuità in queste percezioni legandole con quelle passate e avere un ordine temporale con gli stessi elementi ma con coeficienti temporali diversi, un coeficiente maggiore a seconda di quanto è passato l'evento.

Se dovessi compiere nuovamente la rotazione del dado potrei aspettarmi, quasi a voler vedere nel futuro, che vedrò le stesse facce di prima, questo fenomeno Husserl lo chiama protensione e la protensione non funziona in modo troppo diverso dalla ritenzione.

Ultima osservazione: nessuno credi davvero che l'impressione 0 sia identica a quella 4 solo perché mi si offrono le stesse facce del dado. In primo luogo è falso perché il tempo è irreversibile, quindi il passato non si ripete mai, in secondo luogo su questo piano immanente per Husserl vale ciò che valeva per Eraclito: che non ci sono due esperienze uguali (che non ci si bagna due volte nello stesso fiume).

Sono convinto che la fenomenologia implichi sempre una posizione non riduzionista sul tema della coscienza o anche sullo spirito.

Spiegherò ora la teoria non-riduzionista servendomi di due autori: Thomas Nagel e Henri Bergson.


Nell'articolo Nagel non assume ancora una posizione non riduzionista, ma mostra le difficoltà della teoria fisicalista nel voler ridurre la coscienza, o meglio, tutto l'ambito soggettivo all'oggettivo. Nagel prende come esempio il caso del pipistrello per mostrare come sia difficile comprende cosa voglia dire essere un pipistrello dal momento che il pipistrello ha una percezione della realtà completamente diversa dalla nostra.Nagel è un famoso sostenitore della teoria non-riduzionista, cioè quella teoria che afferma che la coscienza non è riducibile alla base fisica, quindi al cervello. Le riflessioni di Nagel cominciano con un articolo di filosofia divenuto molto famoso che si intitola: Che cosa si prova ad essere un pipistrello? (What is it like to be a but?).

Nagel

Libro di Thomas Nagel Mente e cosmo

Nagel ipotizza che i pipistrelli possano avere delle esperienze coscienti, certo questo non è dimostrato, ma quello che vuole mostrare è che in ogni caso c'è sempre un lato soggettivo dell'esperienza, un come ci si sente ad essere in un modo, a vedere in un certo modo, da un certo punto di vista. È proprio questo l'ambito della fenomenologia, in un certo senso, quell'ambito di una coscienza soggettiva che nessuna scienza della terza persona probabilmente sarà mai in grado di spiegare. Il problema fenomenologico: what is it like for someone to have a certain experience, ovvero com'è vedere le cose da punto di vista di qualcuno.

Se Nagel in quell'articolo non si pronuncia ancora sul non-riduzionismo e ammette che per il momento forse il fisicalismo non è ancora semplicemente in grado di spiegare il fenomeno soggettivo o come avviene questa riduzione, nel libro molto più recente dal titolo: Mente e cosmo. Perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa Nagel si schiera contro il materialismo dichiarandolo come falso.

Il materialismo crede che per ogni mia esperienza soggettiva cosciente esiste un corrispettivo stato neuronale a cui l'esperienza soggettiva si deve ridurre. In questo modo vorrebbe dire che la mia esperienza personale di dolore verrebbe ridotta ad uno stato cerebrale, così cancellando completamente l'aspetto soggettivo che pure è evidentemente presente.

La relazione tra il dolore come esperienza e lo stato neuronale corrispettivo non è, dice Nagel, una relazione di identità necessaria come acqua = H2O. La biologia storicamente, afferma Nagel, non ci ha spiegato tutto: ci ha dato la sua spiegazione sull'origine della vita tramite i suoi miracoli chimici in sequenza, ci ha spiegato lo sviluppo delle specie, la comparsa dell'uomo dalla scimmia, ma non ha ancora nessuna teoria per la comparsa della coscienza sul piano biologico.

Spesso si dice semplicemente che la coscienza è soltanto un effetto di cause biologiche, questo atteggiamento è dato per assunto anche da un filosofo come Searle, ma non è ancora chiaro come si darebbe questa coscienza come epifenomeno del cervello. Ad esempio se anche io potessi spiegare il pensiero, l'immaginazione, il giudizio ed ogni forma di credenza tramite certe scariche elettriche che avvengono nel cervello, dovrei poi spiegare il fatto che io sono cosciente di pensare, immaginare, giudicare e così via, fatto che non può semplicemente essere ridotto al primo e che sembra presupporre un livello trascendente al primo, perciò anche se il primo fosse riducibile alla materia, il secondo essendo trascendente rispetto al primo sarebbe trascendente rispetto alla materia.

Quel che rimane evidente è che Searle si sbaglia a dire che è solamente un compito delle scienze biologiche spiegare le origini della vita e della coscienza perché dietro tutto questo discorso ci sta sempre quel problema filosofico famoso sul rapporto tra l'anima e il corpo. Dare ragione acriticamente alla biologia vuol dire ammettere che esiste solamente il corpo.

Su questo tema anti-riduzionista un libro come Materia e memoria di Henri Bergson risulta molto utile. Bergson afferma che il mondo è un insieme di immagini, una di queste è il nostro corpo.

Queste immagini, precisa Bergson, non sono né le cose e nemmeno rappresentazioni, ma qualcosa che potrebbe essere una via di mezzo tra le due.

Sarebbe strano pensare che Bergson si riferisca agli oggetti effettivamente trascendenti del mondo fisico, infatti dice che queste immagini non sono le cose, piuttosto sembra che quella di Bergson sia una specie di teoria della percezione in cui l'immagine è l'oggetto della percezione, ciò che noi vediamo.

A questo punto quello di cui parla Bergson sembra appartenere più al reame della fenomenologia piuttosto che a quello dell'ontologia. Se il mondo è un'insieme di immagini, anche le frazioni del mondo sono delle immagini, anche le parti del corpo, ciò che avviene in esso, tutte le scariche elettriche nel cervello, i neuroni, non sarebbero altro che immagini.

Come può il cervello che è un'immagine contenere delle immagini come quelle mentali? si chiede Bergson.

Al posto di immagini forse si potrebbe dire superficie e in questo caso la realtà non sarebbe altro che un'insieme di superfici che si dividono all'infinito. Questa mondo di immagini è l'attuale, è il mondo esteso, quantificabile, la materia. Tuttavia nell'attuale non trova assolutamente posto la memoria, il pensiero e la sensazione che non sono assolutamente riducibili ad immagini.

Questo secondo aspetto della realtà è il virtuale e qui trova il suo posto la coscienza. In tutta Materia e memoria ha luogo una contrapposizione tra due tipi di memoria: la memoria meccanica del cervello o l'abitudine e la memoria pura dello spirito o della mente.

La memoria meccanica è la memoria della conoscenza, in particolare quella pratica. Se io imparo una poesia a memoria o apprendo come si cucinano dei maccheroni sto usando una memoria meccanica che è la memoria dell'azione, la quale Bergson suppone possa trovarsi facilmente nel cervello. Quel che è interessante è che quando usiamo la memoria meccanica la coscienza può essere del tutto assente perché non ci serve, infatti possiamo ripetere gesti meccanicamente senza nemmeno essere coscienti di farlo.

L'altro tipo di memoria, la memoria pura, si riferisce ai ricordi che abbiamo dei nostro passato: potrebbero essere i ricordi di quella volta che studiavamo quella poesia di Montale o di quando cucinavamo i maccheroni per la cena di natale. Questa memoria è completamente diversa dalla prima, essa, secondo Bergson, non si situa nel corpo e tanto meno del cervello, ma dipende dalla nostra mente o dal nostro spirito.

Bergson, esattamente come Freud, in un certo senso, oppone la memoria al motorio. Bergson è convinto che il corpo e il cervello svolgano un ruolo primario per quel che riguarda l'aspetto motorio e l'azione, ma la memoria e il sogno emergono solo quando noi allentiamo la parte motoria o smettiamo di agire.

È un fatto che se si fa meditazione, cioè una pratica che presuppone la sospensione dell'atto e anche il distacco dalla pura sensazione, in quel momento affiora più facilmente la memoria. Potreste fare l'esperimento voi stessi: provare a vedere se vi ricordate meglio le cose (memoria pura) quando non agite piuttosto che quando siete presi da varie attività motorie.

C'è però oltre a tutto questo in Bergson una supposizione che le neuroscienze dovrebbero verificare, perché se certo fosse vera le sue conseguenze andrebbero tutte contro il materialismo.

Bergson sostiene che quando noi smettiamo di agire, o quando sogniamo, dovremmo assistere ad un rilassamento della tensione del sistema nervoso, ma il cervello si "rilassa" perché non più impegnato nell'attività motoria e in quel momento compaiono nel soggetto attività come il ricordo o il sogno: da che cosa dipendono quelle attività?

Non potrebbero dipendere in alcun modo dal cervello se la supposizione di Bergson è vera, ma ovviamente è ancora tutto da capire. Io non so molto sulle neuroscienze in questo momento, sono agli inizi di un mio cammino; tuttavia l'osservazione di Bergson secondo me andrebbe verificata perché se risultasse vera potrebbe mettere in discussione la teoria dominante del materialismo riduzionista.

Spero che questo articolo sia riuscito a mettere in evidenza tutto un ambito di realtà che è oggetto di studio esclusivo della filosofia e in particolare della fenomenologia che ne è una sua parte, un ambito che non può essere compreso ancora dalla psicologia e le altre scienze naturali.

(Foto da Pixabay, citaty.net, wikipedia.org)