La teoria della pappardella

Devo confessarlo e me ne scuso subito, ma io detesto i processi pubblici sulle riviste e, peggio ancora, in televisione.

È ormai una voyeuristica perversione che è stata scientemente instillata nell’italiano medio, che non può più fare a meno di seguirli in televisione, con interviste, plastici, ricostruzioni e tutto il becero e perverso bagaglio di trovate che tutti conoscono.

 

 

Anche perché, molto spesso, questi programmi potrebbero avere la possibile conseguenza, più o meno cosciente e-o interessata, di condizionare poi il vero processo che si terrà, e si dovrebbe tenere, solo nelle aule dei tribunali.

Da decenni ormai l’informazione si è trasformata in formazione. Faccio un’eccezione alla mia regola solo per notare alcune cose che mi confermano nell’idea della pappardella e dei valori, di cui parlavo nel mio articolo precedente.

Il papà di uno dei due esseri viventi, dev’essere persona di valore e ben integrato nel sistema, ai massimi livelli. Certo non si arriva a certi livelli e si fa carriera, senza sacrificare qualcosa o qualcuno. Il tempo a nostra disposizione è quello e non aumenta all’aumentare delle nostre esigenze.

Il Presidente della terza Camera lo ha prontamente invitato e lui, poveraccio, ha tentato di “preparare” la difesa del figlio, grazie a quella felice concordanza d’interessi: lo scoop televisivo e preparare il terreno per la difesa.

Non m’interessa discutere su se e quanto quell’espediente sia stata una mossa utile o efficace.  Sicuramente è stata vanificata, uno o due giorni dopo quell’intervista, dalla confessione del figlio che ha, senza possibilità di fraintendimento, dichiarato che lui, quel padre così pronto a difendere gl’interessi del figlio, voleva ucciderlo.

Sì, ha massacrato un ragazzo che non gli aveva fatto niente, non potendo uccidere suo padre. Mi scuso ancora se intervengo, nel mio piccolo, su questa vicenda, ma non posso fare a meno di chiedermi: Ma se mio figlio covasse così tanto odio, così tanto rancore nei miei confronti, al punto di arrivare a fare qualcosa di orribile a un ragazzo di ventuno anni, non potendolo fare a me, come potrei spiegarmelo?

Chissà, magari non avendo molto interesse o tempo a disposizione per conoscere, per capire…

la pappardella non ha funzionato, e io nemmeno me ne sono accorto.

 

Quello che non funziona per certe cose, in certi ambiti, può funzionare per altre però. O può essere addirittura indispensabile.

La pratica della pappardella è quasi sempre dannosa, all’interno della famiglia, ma è fondamentale nella società civile.

Lo Stato, gli Stati, la fantomatica Comunità Internazionale non potrebbero esistere senza la pappardella.

Scrivo questo articolo oggi, 19 marzo, festa del papà.

Ma a chi serve questa festa? Ai figli amorevoli? A quei figli che cercano di essere presenti, di prendersi cura e-o di rispettare i propri genitori, tutto l’anno? No, per loro la festa del papà dura tutto l’anno, non un giorno all’anno.

Allora serve forse ai figli di tutt’altra natura? A quelli che non hanno tempo per i propri genitori e non vedono l’ora di metterli in una casa di riposo, senza nessuna certezza su come saranno trattati e assistiti? Ai cattivi figli, per dirla in modo succinto e semplicistico? No, nemmeno a loro serve.

Magari serve giusto per la pappardella. Per ricordare loro, una volta l’anno, che hanno un papà. E’ perfino inutile dirlo: è ovvio che feste simili servono all’industria, al commercio, al sistema, a chi volete, tranne ai papà e ai figli. Se sei papà, e se sei figlio, lo sei tutto l’anno, non solo il 19 marzo.

 

Eppure, se qualcuno ha la possibilità di controllare, abbiamo così tante Feste, Giornate, Commemorazioni e Celebrazioni, nazionali e internazionali che, io credo, il calendario non basti a tenerne solo una per giorno.

Sbizzarritevi voi: Festa del papà, della mamma, dei nonni, degli innamorati, della donna, della Repubblica, delle Forze armate e così via. E poi le giornate internazionali: del bambino (Questi bambini: quanta gente si preoccupa di loro!), dell’emigrante, dei rifugiati (in questi giorni ce ne sono centinaia di migliaia alle porte dell’Europa, che aspettano di festeggiare!) e tutto il resto. E poi le commemorazioni.

Le commemorazioni sono un argomento “spinoso” dove la pappardella è d’obbligo e uscire dal tracciato della pappardella è pericoloso. Bene che vada, ci sarà sempre qualcuno che si sentirà offeso. E che reagirà.

Per le commemorazioni, valeva una volta la regola “con licenza de’ superiori”.

Chi ha avuto la ventura di vivere gli anni delle Brigate Rosse in Italia, della R.A.F. in Germania, potrà capirmi più facilmente. In quegli anni, potrà sembrare strano ma è così, il sistema non era ancora del tutto perfetto.

Oggi sappiamo sempre chi e cosa pensa per noi: per la politica internazionale abbiamo il Professor Parsi, fin dai tempi dell’esportazione della democrazia in Iraq.

Per l’economia abbiamo il Professor Quadrio Curzio da quasi o più di vent’anni a questa parte. E poi, se si tratta di “tecnici”, per le guerre varie abbiamo i vari direttori di riviste e di uffici di “studi strategici”, Margelletti, Silvestri e così via.

In quasi vent’anni non è venuto fuori un economista o un commentatore politico, o uno “stratega” che possa reggere il confronto e portare idee “diverse”, “altre”, e i nostri “esperti”, poverini, sono costretti, da vent’anni, a sacrificare tempo prezioso ai loro studenti e a passare più tempo in televisione che negli atenei o nelle redazioni.

 

All’epoca delle B.R. non era tutto così semplice. Ancora c’era in giro chi cercava di capire, di spiegare, di analizzare. Ma era un lavoraccio! Per esprimere un concetto semplice, fosse anche solo una frase, che però andasse contro corrente… era una cosa penosa.

Era necessario fare dieci minuti di preamboli, eccezioni, chiarimenti, dire un sacco di ovvietà che però rassicurassero circa la tua fede democratica, dovevi far capire chiaramente che tu non eri un terrorista, dire chiaramente che condannavi il terrorismo e così via.

Se, per fare un esempio, volevi, come ogni persona di buon senso avrebbe dovuto fare, chiederti perché i terroristi non avevano trovato nelle fabbriche e nella società civile quella immediata e impetuosa reazione che pure ci si poteva aspettare e che li avrebbe isolati di fatto… ecco, dovevi fare prima tutto il tuo preambolo, la tua professione di fede democratica e così via, e alla fine potevi formulare la tua domanda.

Alla quale, generalmente, non c’era risposta perché, fondamentalmente, non interessava a nessuno capire. Oggi, per fortuna, questo problema non c’è più.

Abbiamo i pensatori, gli opinionisti, i chiosatori, gli analisti, i tecnici e i giornalisti ufficiali che pensano per noi. Ci dicono qual è la linea e noi non abbiamo più bisogno di porci domande scomode sul terrorismo, su Israele, sul libero mercato, sulla finanza, sui tiranni che abbiamo mandato al potere e che dopo vent’anni abbiamo abbattuto.

Ormai la tecnica è collaudata. Non è un caso se, in questi giorni, si sta contrattando l’ingresso in Europa di quell’esempio di democrazia che è la Turchia. Che ci serve. E quindi, oggi come ieri, daremo una mano all’aspirante dittatore di turno, sapendo che tra vent’anni dovremo procurare una primavera turca per buttarlo giù.

La pappardella, in questi ambiti, è fondamentale.

E a proposito di commemorazioni, celebrazioni e così via, la prossima qual è? Sì, 25 Aprile, festa della liberazione dal nazifascismo.

 

   Onora il padre e la madre, così recita il comandamento. Voi vi sentireste onorati se i vostri figli, che non hanno tempo per voi trecentosessantaquattro giorni all’anno, oggi venissero a farvi visita con il loro amorevole regalo? Per trecento sessantaquattro giorni all’anno le vostre giornate sono più o meno vuote, o monotone e spesso pensate che magari… qualcuno di loro passa oggi per un saluto…

E’ ovvio che queste sono semplici considerazioni che non valgono per tutti. Ma tutti, per esperienza personale, o per esperienza di vita, capiscono il senso di quello che scrivo. 

Lunedì venticinque aprile, festa della liberazione dal nazifascismo, onoreremo quei martiri che ci hanno regalato, a prezzo della loro vita, la nostra, seppur imperfetta, democrazia.

Come potremmo onorarli?

Potremmo onorare la loro memoria vivificando e rafforzando quella democrazia per la quale, per regalarcela, hanno sacrificato la loro vita.

Potremmo portare i nostri ragazzi, i nostri studenti, in una delle migliaia di sale cinematografiche in crisi a vedere un film non palloso ma interessante, bello, sulla resistenza.

Potremmo portarli in gita sui luoghi della memoria, magari avendoli preparati qualche settimana prima, studiando la storia di quel periodo. Ma una gita, non un mesto pellegrinaggio.

Potremmo avere un pensiero gentile, fare una buona azione, verso qualche immigrato che, come loro tanti anni fa, ha dovuto lasciare la propria casa per andare sulle montagne, o il suo paese per andare in esilio in un paese straniero.

Potremmo onorarli in tanti modi. Ma questo è faticoso. E non interessa a nessuno.

E allora usiamo la pappardella e… come li onoreremo?

I nostri studenti, che in buona parte non sanno nemmeno il nome del Capo del Governo o del Presidente della Repubblica, faranno il solito tema sui “valori”: la libertà, la democrazia eccetera.

Un docente che da venti, trent’anni compie il rito del tema del venticinque aprile, li correggerà e darà una valutazione. E migliaia di Sindaci e Autorità commemoreranno.

Molti Sindaci che predicano la secessione trecento sessantaquattro giorni all’anno, o che invitano a mettere il tricolore nel cesso, bardati con una fascia tricolore, ma con un fazzoletto verde nel taschino, depositeranno una corona d’alloro su qualche monumento, una lapide, o da qualche parte.

Quella fascia tricolore che, molti sindaci che vestirebbero volentieri in orbace, saranno costretti a tenere al di sopra di giacca e cravatta. E… i nostri martiri si sentiranno onorati da tutto questo? Dal solito perepè, perepè, perepè?

E la pappardella scorre a raffica.